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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfIl saggio su “Etnometodologia e sociologia in Garfinkel”, realizzato da Barbara Sena e pubblicato da Franco Angeli nella collana di “Laboratorio Sociologico”, è un contributo di grande interesse e attualità. La recente scomparsa di Harold Garfinkel, avvenuta nell’aprile del 2011, suscita infatti il desiderio di ripercorrere i momenti salienti della sua opera, di tracciarne un bilancio, di valutarne l’eredità, desiderio che il saggio di Barbara Sena soddisfa, condensando nelle sue 160 pagine le fasi storiche e i concetti chiave in cui si articola il lavoro del sociologo americano. Ma l’attualità di questo saggio va ben oltre il dato biografico su Garfinkel e l’opportunità di ricordarne l’opera, giacché consiste nel proporre le intuizioni e le metodologie del sociologo americano come un approccio efficace proprio nello studio dei fenomeni sociali del nostro tempo. Fenomeni che non sempre le metodologie d’indagine tradizionali riescono ad inquadrare e che per essere compresi richiedono quei percorsi di ricerca non canonici (che comprendono ad esempio i cosiddetti “esperimenti di rottura”) che sono tipici del lavoro di Garfinkel.

Tornare sull’opera di Grafinkel rappresenta, tuttavia, una sfida impegnativa, giacché significa confrontarsi con una figura difficile e atipica di ricercatore sociale, animato da uno spirito polemico nei confronti del mondo accademico, poco accessibile e a volte criptico nel linguaggio e nelle formule che utilizza nei propri scritti, ostico anche per il fatto di attribuire ad alcuni termini propri delle scienze sociali – vedi in particolare quelli di indicalità e riflessività – un significato nuovo, che risulta funzionale alle elaborazioni del sociologo americano, ma che rende più difficile una comparazione puntuale delle stesse con altri sistemi teoretici. Nella concezione di Garfinkel, la indicalità è il margine di indeterminatezza che esiste in ogni costrutto verbale, quella componente di ambiguità che può essere risolta solo alla luce del contesto nel quale avviene lo scambio verbale, e alla luce di un patrimonio di riferimenti esplicativi comune alle persone che partecipano al discorso. In altri termini, nel concetto di indicalità il senso di ogni affermazione va al di là del suo significato letterale e si completa nel momento in cui ogni singola affermazione può essere collocata in un determinato orizzonte interpretativo. Strettamente legato alla indicalità è il concetto di riflessività, che riguarda la proprietà di auto-esplicitazione delle azioni ordinarie, le quali non possono essere osservate e comprese dall’esterno in modo oggettivo, poiché acquistano senso solo nel momento in cui vengono prodotte, e grazie ad un processo di significazione messo in atto dagli individui che ne sono protagonisti.

Questa sorta di autonomia ed autoreferenzialità che gli individui e i gruppi hanno nel processo che porta alla produzione di senso – questo si evidenzia nel saggio – sposta l’asse dell’indagine sociologica dall’osservazione oggettiva e dalla possibilità quindi di deduzioni scientifiche generalizzabili, alla percezione relativa e all’interpretazione scientifica circoscritta ai singoli contesti particolari. E’ proprio questo approccio che caratterizza l’Etnometodologia come scuola sociologica, e che ne giustifica il termine stesso, ideato da Garfinkel nel 1946 sulla scia di altre definizioni come quelle di Etnofisica ed Etnobotanica. In questo caso, però, la parola “etno” assume non tanto il significato antropologico di “popolo”, bensì quella di insieme di membri competenti di un determinato contesto di azione, mentre la parola metodologia configura lo studio sociologico dei metodi, ovvero dei processi e dei meccanismi attraverso i quali tali membri attribuiscono senso e ordine reciprocamente condiviso alle proprie attività. L’importanza che l’etnometodologia attribuisce al linguaggio e agli scambi verbali deriva dal presupposto che l’interazione dialogica tra le persone sia un elemento fondamentale dell’ordine sociale e che l’ampio margine di indicalità presente nei costrutti verbali dimostri il grande potenziale insito nel linguaggio; ma rivela anche la fragilità che caratterizza il nostro ordine sociale.

Il problema dell’ordine sociale è al centro dell’interesse di Garfinkel sin dai tempi dell’università, quando consegue il dottorato ad Harvard. Pur essendo allievo di Parsons, il giovane ricercatore si orienta verso una mediazione tra le due scuole di pensiero rappresentate rispettivamente da Parsons appunto e da Schutz. Di quest’ultimo Garfinkel sembra recepire – come bene evidenziato nel saggio di Barbara Sena – l’attenzione per i giudizi di senso comune formulati dagli attori sociali e quindi per i processi attraverso i quali avviene la costruzione sociale della conoscenza e la realizzazione di un ordine sociale.

Questo in contrapposizione con la visione di Parsons secondo la quale l’ordine sociale viene mantenuto soprattutto attraverso l’applicazione di regole morali costrittive. D’altra parte, Garfinkel sembra accostarsi a Parsons nelle valutazioni circa le conseguenze, all’interno delle relazioni tra soggetti, della “rottura delle aspettative condivise”: a differenza di Schutz, che vede in questo la semplice crisi del principio di “fiducia”, Garfinkel vede un atto dalle implicazioni anche morali, fatto che lo avvicina alla dimensione appunto normativa di Parsons. Dopo aver esaminato gli sviluppi dell’indicalità nell’etnometodologia radicale, e il rapporto fra l’indicalità e l’analisi della conversazione, e dopo aver passato in rassegna i principali rilievi e le critiche nei confronti delle teorie di Garfinkel - formulati già dagli anni ’60 e ’70 ad opera di studiosi come Swanson, Wallace, Coleman, Gidlow e Bauman, che centrano le proprie critiche su aspetti quali la superficialità degli elaborati di Garfinkel, l’incomprensibilità del linguaggio, la debolezza teoretica dell’etnometodologia - il saggio di Barbara Sena propone alcune stimolanti conclusioni.

L’autrice ritiene che l’approccio di Garfinkel e dell’etnometodologia non rappresenti un contributo di secondo piano nello studio dei fenomeni sociologici, ma semmai un contributo diverso, capace di integrare quelli offerti dalle metodologie sistematiche e codificate. Negli studi sociali – sostiene Barbara Sena – non basta fermarsi ai dettagli, ma non è plausibile nemmeno fermarsi alla sola generalità di un fenomeno, e questo fa intravedere quali interessanti prospettive avrebbe avuto una comparazione – in pratica mai realizzata - fra i risultati di un’indagine sociologica su un dato fenomeno condotta con una tradizionale metodologia di tipo quantitativo e quelli della stessa indagine condotta con criteri etnometodologici. L’autrice suggerisce, dunque, che l’opera di Garfinkel venga valutata per le sue caratteristiche peculiari e non in comparazione con le scuole “canoniche”. L’etnometodologia, infatti, non dovrebbe essere concepita come un approccio metodologico ai fenomeni sociali inserito in una rete teorica, ma piuttosto come un “atteggiamento” nello studio dei fenomeni stessi, non assimilabile ad una procedura di tipo scientifico.

Il modo in cui l’etnometodologia si accosta ai fenomeni sociali – che potremmo definire per certi aspetti creativo e flessibile – può risultare idoneo a comprendere le dinamiche di una società multiforme, articolata e mutevole come quella che caratterizza il nuovo millennio. I meccanismi che presiedono al mantenimento dell’ordine sociale, ad esempio, appaiono quanto mai complessi nelle società multietniche e multiculturali, e difficilmente riportabili a schemi rigidi quando si studiano, ad esempio, i comportamenti sociali nei contesti delle attuali megalopoli, che crescono in modo incessante e che creano infinite sotto-comunità più o meno strutturate.

“L’etnometodologia, in sostanza – scrive Barbara Sena – preferisce all’uso di un metodo scientifico, nel senso comunemente inteso, qualcosa di più consono alla continua mutevolezza e specificità dei particolari oggetti di studio delle pdfscienze sociali”. L’indicalità è “inevitabile”, come viene suggerito nel sottotitolo del saggio, non soltanto perché insita in ogni scambio verbale, ma forse anche perché connotativa di una società che, in rapida e continua evoluzione, deve moltiplicare gli sforzi per decodificare, contestualizzare e forse anche negoziare i contenuti attraverso i quali esprime e racconta se stessa.

 

 

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