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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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ÉLOI MISSI METOGO

 

06 studi Il cristianesimo è presente in Africa dal tempo apostolico. Nell’Africa sub-sahariana, in cui è stato introdotto prima nel XIV e XV secolo, e poi nel XIX, non è più una religione importata dall’esterno, ma una componente incontrovertibile della cultura africana contemporanea. Le chiese storiche – quella cattolica, quelle protestanti e quelle ortodosse – portano ormai il contrassegno di questa cultura sia nelle loro liturgie sia nel loro modo di gestire tanto le persone quanto le cose o le diverse situazioni. Il cristianesimo presenta poi, a più forte ragione, un volto “altro” nelle chiese indipendenti o afro-cristiane e nelle nuove chiese di ispirazione pentecostale. 

Questi volti africani del cristianesimo suscitano un certo numero di interrogativi per quanto riguarda il messaggio evangelico e l’attuale situazione delle società africane. Come si rapportano essi alle fonti del cristianesimo, in special modo alla Bibbia? Come fanno fronte i cristianesimi africani alle molteplici crisi – epidemie, corruzione, povertà, lotte per il potere economico e politico, violazioni dei diritti umani ecc. – che devastano il continente? Quale è la loro concezione della salute e della salvezza?

Le difficoltà di comunicazione e i tantissimi impegni di certi colleghi ci hanno impedito di ottenere alcuni contributi scritti su punti importanti come il ruolo politico delle chiese, tanto quelle storiche quanto quelle “nuove”, sull’ecumenismo, sul dialogo interreligioso, sulla teologia femminista, sulle chiese copte d’Egitto ed Etiopia... Riteniamo, comunque, che i testi pubblicati in questo fascicolo affrontino questioni essenziali e degne d’interesse.

La prima sezione è dedicata alle «Nuove chiese». Dopo aver ricordato quella che è la storia dei messianismi e dei profetismi in terra africana, DIEUDONNÉ ESPOIR ATANGANA osserva che i messianismi combattono il vecchio ordine coloniale e missionario traendo ispirazione dai fermenti rivoluzionari della rivelazione ebraico-cristiana, mentre i profetismi contrastano malattia e stregoneria mediante il rito. Sebbene fra le due tendenze non vi sia una paratia a tenuta stagna, oggigiorno abbiamo a che fare soprattutto con i secondi, ovvero con i movimenti di guarigione e di lotta alla stregoneria. I messia e i profeti fondatori di chiese indipendenti, che alcuni sociologi usano chiamare “cristi neri”, tendono a sostituirsi a Gesù di Nazaret nel momento stesso in cui fanno riferimento a lui. L’autore dell’articolo si interroga sulla pertinenza della cristologia che in questi casi ne deriva.

Da parte sua, LUDOVIC LADO punta l’attenzione sulla proliferazione delle chiese neo-pentecostali o carismatiche e si chiede come possa il cattolicesimo africano, ancora alla ricerca di una sua identità, coabitare con quel movimento carismatico che ha accolto al proprio interno. Non è cosa priva di interesse annotare come la maggior parte delle chiese indipendenti africane si caratterizzi per una ispirazione pentecostale. La teologia neo-pentecostale della prosperità materiale è inquietante: ci sono degli “imprenditori religiosi” privi di scrupoli che si arricchiscono alle spalle della popolazione in preda alla carestia e alle epidemie. E in Africa le questioni di stampo economico e politico non vengono mai prese in esame, mentre in America latina si contano dei fautori del pentecostalismo anche fra i teologi della liberazione. Per quanto concerne il movimento carismatico cattolico, vi si nota l’insistenza sull’esperienza personale dei doni dello Spirito in ordine alla testimonianza cristiana, e molto meno sulla glossolalia e i carismi di guarigione. Il futuro del rinnovamento carismatico in Africa dipenderà dalla formazione del laicato e da un giusto equilibrio fra il controllo istituzionale, da un lato, e la libertà dello Spirito, dall’altro. Sarà altresì necessario che tanto i cattolici quanto i pentecostali intavolino un confronto teologico sul ri-nascere nello Spirito, sull’inculturazione, sul nodo salute/salvezza. Il teologo congolese MODESTE MALU NYIMI prende in esame il progetto contestuale della teologia africana, prima di focalizzare più a lungo la sua attenzione sulle comunità ecclesiali “vive” di base; esse si inseriscono a pieno titolo in una teologia contestualizzata nel continente africano quali realizzazioni pratiche di una chiesa-famiglia.

Nella seconda sezione si accostano questioni relative alla Bibbia, al dogma, alla liturgia e alle istituzioni ecclesiali. PAULIN POUCOUTA presenta alcune ricerche africane sul Gesù della storia. Se da un lato è vero che vi sono legami innegabili fra l’Egitto di epoca faraonica e quell’Antico Testamento su cui si ra- dica il ministero di Gesù, d’altro canto è giocoforza constatare che il faraonismo caro a determinati intellettuali africani non tiene in conto alcuno la critica biblica. Voler stabilire a ogni costo che Gesù è stato iniziato in Egitto, per esempio, equivale a cade- re in balia di una lettura fondamentalista e ideologica della fuga in Egitto della santa famiglia (Mt 2,13-23). L’Autore prende poi in considerazione altre due ricerche sul Gesù “ebreo”: uno studio narratologico sulle relazioni fra il Nazareno e i responsabili del popolo d’Israele, e uno studio storico-critico su Gesù e il sabato. A suo avviso se si vuole sfuggire sia al fondamentalismo sia al concordismo è obbligatorio dedicarsi a un lavoro inter-disciplinare, che permetta al tempo stesso di «percepire la dinamica storica e sovversiva del dire e del fare di Gesù»: gesuologia e cristologia sono inseparabili.

Siamo abituati a parlare di “inculturazione” a proposito di li- turgia, di catechesi, di pastorale. Ma che ne è dell’inculturazione degli enunciati di fede? LÉONARD SANTEDI KINKUPU richiama i fondamenti teologici dell’inculturazione, alla base della quale stanno i tre misteri dell’incarnazione, della risurrezione e della pentecoste. Quel vangelo che deve incarnarsi in tutte le culture purifica queste ultime ed esse, per la forza dello Spirito santo, danno vita a figure differenti e inedite del cristianesimo, al punto tale che «l’universalità della chiesa si esprima in termini di comunione delle chiese [...] invece che in termini di uniformità e di conformità ad un modello unico». L’inculturazione dottrinale è una ricezione creatrice degli enunciati di fede, una operazione ermeneutica preoccupata di preservare il senso del mistero e di trovare nuove maniere di esprimerlo in funzione dei contesti culturali. È tuttavia importante non separare questo compito er- meneutico dalla dimensione etica del vangelo e dell’inculturazione.

Contro una concezione troppo nozionistica della rivelazione, il concilio Vaticano II ha favorito il ritorno alla Bibbia e ha riaffermato il posto centrale della Scrittura in tutti i campi e gli ambiti della vita della chiesa. La Bibbia è stata tradotta in svariate lingue africane, e questo poderoso lavoro di traduzione sta proseguendo. Conformemente all’insegnamento conciliare, la “messa zairese” e altre rilevanti innovazioni liturgiche hanno permesso di riscoprire il ruolo e l’importanza della Parola di Dio nella celebrazione eucaristica. Il concilio ha pure sottolineato il legame fra liturgia e vita. Nondimeno, il quadro presenta alcune zone d’ombra. Per ÉLOI MESSI METOGO Dei Verbum stessa dà ancora l’impressione di subordinare la Scrittura alla Tradizione e al magistero. Le traduzioni del testo biblico sono raramente condotte a partire dai testi originali e munite delle opportune spiegazioni. La mancanza di formazione, il fondamentalismo delle nuove chiese e le sciagure del presente trasformano la Bibbia in un prontuario di formule magiche, falsando il senso della preghiera. La sopravvalutazione della persona del presbitero nell’ultima enciclica papale sull’eucaristia e nella “messa zairese” non favoriscono la partecipazione attiva dei laici all’eucaristia. E quest’ultima deve ritrovare il posto che le spetta nella liturgia e nella preghiera cristiane. Le rivalità e le lotte per accaparrarsi potere d’influenza impediscono infine alla liturgia di essere il luogo per eccellenza in cui si verifica la fraternità cristiana, il luogo dove si può pregustare il Regno di Dio e si viene inviati in missione.

Quando il continente fu evangelizzato, soprattutto da parte di religiosi e religiose, la vita consacrata veniva guardata da molti Africani come un enigma, se non addirittura come una aberrazione. Dopo aver sottolineato la pertinenza della vita religiosa in Africa attraverso un’analisi del suo contributo alla diaconia della carità, della fede e della speranza, SIDBE SEMPORÉ indica quelle che oggi sono le sfide da rilevare per il prosieguo dell’opera intrapresa. Una certa teologia della vita religiosa, il peso delle tradizioni, il contesto economico e sociale sono alcuni elementi che mettono in difficoltà la pratica dei voti di povertà, di castità e di obbedienza. La vita consacrata africana resta economicamente dipendente dall’esterno, così come è contrassegnata da una storia e da tradizioni estranee all’Africa. I religiosi e le religiose del continente avranno il coraggio di «riappropriarsi del sale e del lievito del carisma fondatore dello Spirito per ridefinire e riconfigurare la vita religiosa»? Avranno il coraggio di «correre più rischi nel loro impegno a fianco degli esclusi per aiutarli e spingerli a prendere in mano la loro sorte e a operare per l’avvento di una nuova società africana più giusta e più responsabile»? Tutto questo presuppone che gli istituti religiosi voltino le spalle a certo campanilismo e alla tribalizzazione, per lavorare invece di concerto ed elaborare dei progetti comuni.

I vescovi e i teologi africani sono convinti che l’africanizzazione del cristianesimo debba passare per l’africanizzazione delle strutture della chiesa. SILVIA RECCHI mostra come l’ecclesiologia del Vaticano II abbia configurato e attrezzato uno spazio importante per la creazione di un diritto particolare e si pone la domanda se i vescovi diocesani e le Conferenze episcopali ne abbiano preso coscienza. Il rapporto fra il particolare e l’universale nella chiesa – questo va riconosciuto – si colloca ben al di là dell’opposizione fra centralizzazione e decentramento, ed è pure vero che il pluralismo sarà sempre limitato dall’esigenza di comunione. Nondimeno, il “peso” della legislazione universale è ancora considerevole, e il problema dell’inculturazione resta una sfida per il diritto ecclesiale.

L’unico contributo della terza sezione – dedicata alla «Morale» – si concentra sulla morale familiare e sessuale nelle chiese storiche. Nella sua omelia del Natale 2005, l’arcivescovo di Yaoundé (Camerun) ha denunciato la pratica dell’omosessualità divenuta passaggio obbligato per accedere a determinate scuole di prestigio, per ottenere un impiego o avere una promozione. Guardando all’AIDS, numerosi cristiani si chiedono se l’interdizione dell’uso del preservativo da parte della chiesa cattolica sia realistica a fronte del numero continuamente crescente di contagi e di decessi che si verificano, visto tra l’altro che sullo stesso argomento le chiese protestanti esibiscono una posizione più sfumata. Per JEAN-BERTRAND SALLA, al di là o al di qua del dibattito sul preservativo e dell’avversione degli Africani per l’omosessualità, è urgente rinnovare i «metodi pastorali d’approccio e d’evangelizzazione delle famiglie» e promuovere una «pastorale dello sviluppo» che implichi «la denuncia della violazione dei diritti dell’uomo da parte di regimi politici corrotti».

La quarta e ultima sezione di questo fascicolo – rivolta alla «Pastorale sanitaria» – comporta essa pure un unico contributo, dedicato al ministero della guarigione, ad opera di ÉRIC DE ROSNY. La chiesa cattolica si è sempre fatta carico del pdfministero della guarigione, agendo sia sul piano delle istituzioni medico-sanitarie sia sul piano dell’assistenza spirituale agli infermi. Ciò che è nuovo, in questo suo impegno, è l’ampliamento dell’idea di “salute”: essa ormai concerne tanto il corpo quanto l’anima e va a congiungersi con l’antica concezione africana di salute/salvezza. Ne deriva una promozione terapeutica delle attività che venivano qualificate come “spirituali”, così come avviene oggi nel rinnovamento carismatico e nella pratica dei pastori ai quali i fedeli domandano la guarigione. Ma come articolare la domanda di guarigione con la salvezza apportata da Cristo?

Abbiamo già detto dei limiti di questo fascicolo della rivista. Nondimeno, speriamo che possa dare un’idea dei volti del cristianesimo africano e della posta in gioco per quanto riguarda l’evangelizzazione del continente, in vista di una ricerca e di una riflessione che siano più approfondite.


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Testo ripreso tramite il web dalla rivista Concilium, 2016 Ed. Queriniana.

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