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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

Lavoro da circa 16 anni come volontaria con la ONLUS VIC Caritas http://www.vic-caritas.org, un’associazione che opera nei quattro istituti di Rebibbia e si propone secondo lo Statuto di

  • seguire e accompagnare i detenuti e le detenute durante l’espiazione della pena, nella delicata fase di transizione tra il distacco da modelli comportamentali delinquenziali e l’auspicata adesione ai corretti modelli della civile convivenza, favorendo la promozione dei diritti della persona umana e rimuovendo situazioni di bisogno attraverso l’autentica testimonianza di un nuovo modo di vivere;

  • costruire progetti organici e continuativi di aiuto al detenuto, quale attiva partecipazione all’opera di rieducazione, in piena aderenza all’applicazione dell’Ordinamento Penitenziario, anche per la realizzazione di una serie di strutture di accoglienza alternative alla carcerazione;

  • sensibilizzare l’ambiente esterno a riconsiderare la permanente manifestazione di una mentalità e di una cultura di rifiuto nei confronti del penale, fino ad accogliere il carcerato, facendogli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città, nelle proprie leggi;

  • promuovere e sostenere iniziative legislative finalizzate ad una migliore salvaguardia dei diritti e della dignità dei detenuti.

Svolgo il mio volontariato presso la casa circondariale femminile di Rebibbia, la più grande d’Europa, con una popolazione di circa 350 detenute. Seguo in particolare le molte straniere, soprattutto africane, sfruttando la mia conoscenza dell’inglese. Faccio colloqui settimanalmente con chi me lo chiede, ascolto le loro storie, favorisco le comunicazioni con le famiglie, mi confronto e collaboro con gli educatori e la direzione, parlo con gli avvocati, offro la possibilità di essere accolte in permesso nella casa alloggio del VIC a chi ottiene questa misura alternativa e non ha un’abitazione dove poterne usufruire, accompagno le detenute che ottengono l’art.21 (possibilità di lavorare all’esterno durante il giorno, con ritorno in cella la notte).

Ogni giorno mi rendo conto di quanto quel poco che faccio sia per loro prezioso, perché spesso la solitudine, la lontananza forzata dai figli e dagli affetti, l’abbandono, sono problemi che pesano fortemente. In questi anni ho imparato molto, soprattutto quanto, a monte del reato, ci siano quasi sempre situazioni di degrado culturale ed economico, ingiustizie, mancanza di opportunità, disagio psicologico e sociale. Essere presenti, accanto, è spesso l’unico modo per testimoniare che la loro vita non si esaurisce nel reato, che si può ricominciare, nonostante la difficoltà di conservare la propria dignità quando manca anche l’indispensabile (il dentifricio o le mutande !). La nostra associazione fa molto in questo senso (pacchi-vestiario, distribuzione di prodotti per l’igiene), ma non ha grandi risorse economiche per far fronte a tutti i bisogni e rimuoverli (vedi Statuto!)

Il “DOPO” è certamente un discorso molto importante che cerchiamo di affrontare. Nel tentativo di offrire concrete possibilità di reinserimento, il VIC ha fondato una cooperativa di solidarietà sociale, l’ e-Team, che ha operato nell’ambito della ristorazione, con la gestione della cucina-detenuti della Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso (maschile) e che attualmente gestisce il CUP dell’ospedale “Bambin Gesù”, dando lavoro a circa 16 persone, alle quali presto si aggiungeranno anche alcune detenute..

La nostra casa alloggio, offrendo a tanti detenuti la possibilità di riprendere contatto con il mondo esterno durante i permessi, costituisce un importante strumento di reinserimento.

Il VIC ha anche avviato un progetto per aiutare i detenuti e le detenute extracomunitari a rinnovare durante la detenzione i propri documenti, indispensabili per riprendere una vita “normale”.

Io personalmente percepisco il “DOPO” come un problema al di sopra delle mie possibilità, più grande di me, almeno nei risvolti più concreti, soprattutto in un periodo in cui il lavoro, indispensabile per riavviare una vita, è così difficile da trovare. Ogni volta che una detenuta, che ho seguito magari per anni, è alla fine del suo percorso detentivo ed “esce”, mi sento impotente a dare un aiuto per il suo reinserimento perché non sono in grado di offrire un lavoro né di aiutare a trovarlo!  

Certamente ci sono esperienze positive che desidero riferire: persone che sono riuscite a superare il periodo triste trascorso in carcere, a chiudere con il loro passato, a ricominciare, anche, credo, grazie alla vicinanza, alla condivisione della sofferenza, ai rapporti stabiliti durante la detenzione, ai tanti ragionamenti e discorsi fatti insieme, che diventano elementi di speranza e di forza.

Una costante nelle varie esperienze che ho in mente è il fatto di aver incontrato nel loro cammino qualcuno da amare e che ha dato loro amore e fiducia senza pregiudizi: un marito, una compagna, dei figli o dei familiari ritrovati, degli amici. Forse l’elemento più grande insieme al lavoro.

In alcuni casi il carcere stesso, in genere luogo di sofferenza ed umiliazione, ha anche un ruolo positivo: attraverso la scuola e altre attività organizzate all’interno (lavoro, teatro, cucito) offre a chi non ha avuto mai niente qualche possibilità di riflettere sulla propria vita, di mettere in luce alcune capacità, di appropriarsi di qualche conoscenza. In alcuni casi (rari purtroppo!) l’esperienza di lavoro svolto all’interno del carcere, diventa spendibile anche fuori.

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Albino Barrera OP  -  Stefano Menghinello  -  Sabina Alkire

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