ome scrive Ennio Flaiano nel Diario degli errori, pubblicato postumo nel 1976: “Nel Medioevo l'uomo era abitante di due città: quella terrena e quella celeste. Quella terrena non era perfetta, quella celeste sì. Era inutile cercare la realizzazione di se stessi, la felicità nella città terrena, poiché questa completa realizzazione l'uomo poteva trovarla, dopo una vita proba, nella città celeste. La Raison, e la civiltà industriale che ne derivò, abolirono la città celeste. All'uomo ora restava di realizzarsi nella città terrena: trovare cioè in vita quella felicità che gli era stata promessa dopo la vita. Da qui la filosofia del successo, del libero amore, del perseguimento della felicità e del benessere. L'uomo non vuole più soffrire in questa sua città terrena, né rinunciare a nulla. Ma la civiltà del benessere porta con sé proprio l'infelicità, poiché propone all'uomo i simboli del suo stato, da raggiungere qui, e riduce ogni conquista a termine materiale, quindi deperibile”.1
Il processo che va sotto il nome di secolarizzazione è in corso da almeno due secoli: una lunga deriva di contrasti tra ragione e fede da Voltaire in poi, che nel 1755 “notifica lo sfratto di Dio dal centro dell’universo”. Scrive Zygmund Baumann: “Tendo a vedere nel 1755 l’anno in cui si è iniziato a redigere la notifica di sfratto di Dio dal centro dell’universo. Nel 1755 Lisbona fu colpita da un triplice disastro: in rapida successione si verificarono un terremoto, una serie di incendi e uno tsunami. I colpi le si abbatterono addosso a caso: come Voltaire ha avuto la prontezza di osservare, <l’innocent, ainsi que le coupable, subit également ce mal inévitable>. Il verdetto di Voltaire era di una chiarezza cristallina: la permanenza di Dio al centro dell’universo non aveva passato la prova d’esame fissata dagli uomini in materia di ragione e di morale. Sottesa a quel verdetto c’era la conclusione che l’universo avrebbe avuto molte più possibilità di conquistare un ordine più “civilizzato” e una giustizia più giusta se fosse passato a una nuova gestione, che andava affidata agli esseri umani.”2
Un ulteriore elemento che si è introdotto nella modernità a minare la riflessione spirituale è quella che alcuni hanno chiamato l’“evaporazione del padre”. Una perdita di ruolo rispetto alla trasmissione dei valori, ed una crisi educativa che rafforzano la tendenza al presentismo ed al consumismo come surrogati del senso della vita. Un ampio filone di studi e ricerche filosofiche, sociologiche e psicanalitiche si è occupato di questa tendenza a perdere di vista la relazione generatrice di senso, a favore delle “passioni tristi”, in una società onnivora e della sperimentazione continuata.
Ancora Baumann: “Il padre in carne e ossa, non quello metaforico, appartiene al frattale più piccolo nella successione/gerarchia di frattali. Quel padre fatto di carne funge più che altro da anello di congiunzione – o, più correttamente, da interfaccia di trasferimento/scambio – tra quelle due modalità di aggregazione umana coesistenti, intrecciate e interagenti, che Victor Turner distingueva in societas e communitas. Le prove e le tribolazioni che affliggono oggi quella particolare riflettono in forma condensata i fenomeni che colpiscono ognuna delle sue estensioni e idealizzazioni, a prescindere dal gradino occupato nella struttura frattale. Indipendentemente dal fatto che entrambi i genitori vivano o no sotto lo stesso tetto, i legami tra genitori e figli si stanno facendo sempre più laschi e al contempo viene strappata loro di mano l’identificazione pressoché totale con la struttura dell’autorità. Credo che l’ dalla vita familiare di cui parlano Lacan e Recalcati o, almeno, da quel , sia in larga misura, sebbene certo non esclusivamente, una situazione autoinflitta, una fossa che ci si e scavati da soli. È indubbio che la volatilità dei mercati del lavoro e l’intrinseca fragilità, friabilità e pressoché cronica delle posizioni sociali rivelino quotidianamente la spettacolare scomparsa dell’onniscienza – e, a maggior ragione, dell’onnipotenza – dall’elenco delle qualità del Padre: queste nuove realtà di vita indeboliscono quelle condizioni, create e preservate sul piano sociale, su cui un tempo tendeva a fondarsi la possibilità di ricorrere al Capofamiglia come il prototipo per qualunque futuro garante dell’ordine e della giustizia del mondo. Eppure, l’ del Padre, e così le sue conseguenze più decisive in termini di Weltanschauung – come lo svuotamento improvviso del – sono state favorite e promosse dalla rinuncia a una notevole fetta di responsabilità genitoriali, un atto di resa che può essere coatto o volontario, rassegnato oppure accolto con entusiasmo. Gli scrupoli morali che potrebbero insorgere in seguito a questa rinuncia tendono a essere affrontati attraverso i servizi a pagamento offerti dai mercati del consumo; e ancora di più attraverso il ricorso ai beni che questi offrono con la funzione di tranquillanti morali. Il che a sua volta spiana ancor più la strada alla commercializzazione degli aspetti più intimi dell’aggregazione e dell’interazione umana”.
Secondo Romano Guardini:3 ”Il problema centrale attorno a cui dovrà aggirarsi il lavoro della cultura futura e dalla cui soluzione dipenderà non solo il benessere o la miseria, ma la vita o la morte, è la potenza. Non il suo aumento, che questo avviene da sé, ma la via di domarla e di farne un retto uso”. Il riferimento è qui al progresso scientifico e tecnologico ed alle sue potenzialità, che danno molte opportunità ma al tempo stesso offrono una serie di pericoli. “L’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza”. Nell’excursus sulla storia dell’umanità dal Medioevo in poi Guardini punta il dito su una concezione della vita basata sull’idea del dominio. Ben venga il riconoscimento della autonomia della scienza, della politica e dell’economia ma è un male la messa in disparte della spiritualità, del contenuto simbolico dell’esistenza, della meditazione, della contemplazione, che erano di casa nel passato, e vengono ora meno a favore della razionalità e del paradigma tecnocratico.
Ma è proprio così? Lo stesso Guardini, nel pieno degli anni 50, dice che “i tempi moderni volgono alla fine” e l’uomo postmoderno si trova di fronte a “una crisi di disincantamento”. Secondo Guardini “l’uomo deve imparare a divenire signore di sé superandosi e rinunciando a sé stesso, e diverrà così anche signore della sua potenza”. Parole forti che sono fatte proprie da papa Francesco nell’Enciclica Laudato sì, in cui Guardini è citato ben otto volte, più di qualsiasi altro pensatore. E non è inutile ricordare come egli sia stato punto di riferimento per molti papi recenti, da Montini a Ratzinger a Bergoglio appunto, che ha individuato in Guardini il teologo più capace di parlare al mondo contemporaneo.
In continuità con queste riflessioni, le scienze sociali segnalano alcune spie di un recupero di spiritualità, che si intravedono nel fallimento dello stato e del mercato, nelle forme di nuova società e nuova economia (volontariato, economia solidale, generatività, sostenibilità olistica, ecologia integrale), nel ritorno alla terra, alla bottega 4, nella ” nostalgia di fede, un cattolicesimo incerto che però vuole ancora credere” (come si dice nella ricerca della Diocesi di Roma del 2014), nel bisogno di senso che si riscontra nelle pieghe del consumismo, nel carisma di Papa Francesco, anche da parte dei laici, nello sviluppo del dialogo interreligioso.
“…ragazzi capaci di assecondare il loro eccesso di speranza e mettere alla prova il loro rapimento, per scoprire se è frutto di un’illusione della conoscenza di sé o una vera e propria chiamata. (…) Si sono concentrati sul processo, sul paziente lavoro quotidiano, il fratello maggiore dell’ispirazione, come diceva Baudelaire. Tutte le persone che hanno realizzato il loro sogno hanno capito che il primo passo per custodirlo era andare a bottega come facevano gli artisti di un tempo, mettersi alla prova, imparare l’arte di creare e quindi di crescere”5
E ancora Baumann: “Nei due secoli successivi ci siamo resi conto, e in modo piuttosto brutale, che i manager umani non hanno ottenuto risultati molto diversi rispetto a quelli di Dio quando si è trattato di gestire in modo disastroso sia la ragione sia il senso morale, e abbiamo scoperto non solo che il Grande Ignoto non è così pronto a farsi da parte, ma anche quanto siano tenaci i vincoli che impediscono agli esseri umani di avvicinarsi all’onniscienza, figuriamoci poi all’onnipotenza. Lo Stato e il Mercato, le due agenzie sulle quali la ragione e la morale – dopo essersi consultate a vicenda ma senza giungere a un pieno accordo - avevano puntato per gestire in modo efficace la parte dell’universo popolata dagli uomini, o almeno a metterla nelle condizioni di autogestirsi come si deve, hanno fallito e falliscono ogni giorno di più tutta una serie di prove pratiche, deludendo le aspettative che vi erano state riposte. E al momento non vediamo candidati papabili a subentrare al loro ruolo, per quanto meticolose e disperate siano le ricerche e per quanto possano sembrare creativi e promettenti i bozzetti sulla lavagna. Nella nostra realtà frattale si ripropone, seppure su scala diversa, un dilemma dello stesso tipo. La crisi di un’autorità improntata all’immagine del Dio Padre onnisciente e onnipotente viene avvertita con forza dalla base fino alla cima, sebbene ciascun livello abbia i propri motivi per viverla così, e nonostante i fattori scatenanti di questo senso di crisi siano diversi”.6
Nella già citata ricerca sul rapporto tra le famiglie della diocesi di Roma e la religione, realizzata dal Censis su incarico del Vicariato di Roma nel 2014, emergono con chiarezza i punti critici ed alcune delle vie da seguire.7 Il rapporto tra le famiglie della diocesi di Roma e la religione è un rapporto complesso, per certi aspetti problematico, per altri ricco di aperture e di speranze. La lettura e l’interpretazione dei dati raccolti, attraverso le interviste ad un campione rappresentativo di circa mille famiglie romane, evidenziano “un cattolicesimo identitario, autoprotettivo, in un certo senso “confortevole”: un cattolicesimo per certi versi , che, mentre mantiene una certa adesione alla Chiesa, nei sacramenti e nei comportamenti di fede, lascia che al suo interno guadagnino spazio e terreno, con un parziale infragilimento delle stesse basi dogmatiche del Cristianesimo. E, dall’altra parte, ci si imbatte in famiglie lontane dalla religione cattolica e dalla Chiesa che coltivano, anch’esse forse inconsapevolmente, una domanda di senso timida, repressa, che non riesce a diventare struggente e dunque dinamica. Un cattolicesimo incerto che però vuole ancora credere; una<“nostalgia di fede> che in questo accomuna cattolici e non credenti che manifestano potenzialità di percorsi di ricerca imprevedibili. Un cattolicesimo che ha metabolizzato la cultura del tangibile ormai radicata, che ha bisogno di vedere e di toccare la verità del Cristianesimo e che perciò considera esplicitamente Papa Francesco (una persona concreta) il punto di forza del cattolicesimo, ponendo in ombra anche ragioni altissime però distanti nella Storia e nel Tempo.”
Spiccano in particolare nei risultati della ricerca la conferma delle difficoltà che le famiglie incontrano nella trasmissione dei valori, l’allontanamento tra famiglie e scuola, l’”impotenza educativa” di ambedue, la concezione laica del matrimonio - tratto antropologico diffuso che si riverbera sullo stile educativo o sulla rinuncia alla educazione dei figli - , la tenuta delle cosiddette “celebrazioni di soglia” - quelle celebrazioni che scandiscono la nascita (il Battesimo) e le tappe della crescita individuale (Comunione, Cresima) -, l’afasia nei confronti dei grandi drammi della vita - in primis la morte -, la disaffezione per la pratica religiosa, il materialismo insito nel modo con cui si celebrano le grandi feste religiose - come il Natale -, la scarsa familiarità con i Testi Sacri. Ma anche il riconosciuto Carisma di Papa Francesco, la “potenza del messaggio d’amore” veicolato dalla Chiesa, la “testimonianza della carità”, e soprattutto quello che viene definito, tra bisogno di guida e difesa dell’autonomia, “l’insopprimibile bisogno di senso dei non credenti”. La ricerca infatti conclude sottolineando che proprio dai non cattolici (la stragrande maggioranza del campione in questione si dichiara agnostico e ateo) vengono stimoli incoraggianti. Infatti il 57% del campione di non cattolici intervistato dichiara di sentire il bisogno di un “significato più grande” per la vita (13% “molto d’accordo” più 44% “abbastanza d’accordo”).
Il monito che ci viene dalla riflessione di pensiero sociologico è allora quello di lavorare al recupero dei valori della spiritualità applicati alla vita moderna: ascolto, riflessione, scambio intergenerazionale, comunità, cammino, preghiera. Ed anche di collaborare con la Chiesa per il miglioramento della liturgia, la diffusione della pratica del perdono e lo studio del Vangelo.
1 E. Flaiano (1976), Diario degli errori
2 Z. Baumann (2017), Elogio della letteratura, Einaudi (estratto pubblicato da Avvenire il 5 settembre 2017)
3 R. Guardini (1954), La fine dell’epoca moderna”, Morcelliana
4 Alessandro D’Avenia (2016), L’arte di essere fragili, Feltrinelli
5 Ibidem pag. 79
6 Z. Baumann cit., passim
7 E. Manna (2014), Religione e famiglia a Roma, Censis