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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

 

La figura e l’opera di Giorgio La Pira (1904 – 1977) appaiono di straordinaria attualità in una situazione storicapdf in cui la politica si presenta estremamente debole di fronte al potere economico, finanziario e mediatico, lontana dalla vita e dai bisogni dei cittadini. In alcuni paesi, come l’Italia, l’ambito del potere politico è devastato da scandali di tale gravità da provocare nella gente sentimenti di disgusto e rabbia, che portano molti alla convinzione che questo tipo di attività sia inevitabilmente corrotto e legato a molteplici forme di ingiustizia.

Il contributo offerto da La Pira alla politica sia a livello di riflessione teorica sia a livello di azione concreta dimostra invece la possibilità di una prassi politica impegnata coraggiosamente per il bene comune e caratterizzata da assoluta trasparenza. La Pira è stato spesso pesantemente attaccato per le sue opinioni e per le sue scelte, ma neppure i suoi più aspri oppositori hanno mai messo in dubbio la sua onestà e il suo disinteresse. Egli riteneva che, dopo la preghiera, la politica fosse la più alta fra le attività umane: si trattava in primo luogo di tracciare un progetto che avesse al centro la dignità della persona e il bene della società, in una composizione armonica in cui la vita nel tempo esprimesse al meglio i valori terreni, restando sempre aperta alla spiritualità e all’eternità.

Questa prospettiva “architettonica” per la Pira era fondata sulla sua fede nel Vangelo e sulla centralità del comandamento dell’amore. Accanto agli interventi caritativi e assistenziali in cui si è sempre impegnato, egli ha intuito, apartire dal 1937, che occorreva agire anche su un piano culturale, legislativo e strutturale.

Nei tre articoli per la rivista il Frontespizio e soprattutto nei Principi, supplemento mensile alla rivista Vita cristiana dei domenicani, pubblicato dal gennaio 1939 e il febbraio 1940, egli delinea, nel periodo del fascismo, la sua visione di una società fondata sulla libertà e sul primato della persona rispetto alla stato. Ispirandosi alla dottrina sociale della chiesa ribadisce la centralità del bene comune come fine dell’organizzazione sociale, l’importanza delle società intermedie, il valore della solidarietà. Queste posizioni lo costrinsero ad abbandonare Firenze, dove poté far ritorno solo dopo la liberazione dal regime. Sono quegli gli anni decisivi per la storia d’Italia che vedono nascere la Repubblica e i lavori dell’ Assemblea Costituente. La Pira ne è uno dei protagonisti e contribuisce con la sua competenza giuridica e la sua sensibilità per i valori sociali, alla formazione del testo della Costituzione, dove, accanto all’affermazione dei diritti di libertà è parimenti presente l’affermazione dei diritti sociali e della centralità del lavoro.

Tra il 1948 e il 1949, divenuto sottosegretario al Ministero del lavoro che era guidato da Amintore Fanfani, si impegnò per tradurre in azioni concrete i principi affermati in teoria, in modo da realizzare una  democrazia effettiva, non solo formale, ma sostanziale. Fu varato in particolare un “piano casa” che agevolò la ricostruzione dopo i danni della guerra e diverse misure a sostegno dell’occupazione. Fu in quegli anni e in quel ruolo che La Pira ebbe modo di conoscere da vicino le dinamiche economiche al livello decisionale più alto e le vertenze di lavoro.

Quando la corrente dossettiana, di cui La Pira faceva parte, si ritrovò in minoranza all’interno della Democrazia Cristiana e prevalsero scelte di politica economica incentrate sulla lotta all’inflazione, pur trovandosi il paese in una situazione caratterizzata da una crescente disoccupazione, il nostro fu escluso dalla nuova compagine governativa. Preoccupato dalla perdita del lavoro da parte di tante persone, perdita che egli giudicava un vero “dramma di natura morale”, osò entrare nello spazio della riflessione economica utilizzando un linguaggio semplice e diretto, carico di una fortissima tensione etica. Ne L’attesa della povera gente e ne La difesa della povera gente (entrambi 1950), leggendo la situazione alla luce del messaggio biblico, che sempre si erge a difesa del povero e dell’oppresso (dal Deut 15 , 1-18 fino ad arrivare a Mt 25), egli contesta il fatto che le leggi economiche siano considerate assolute e intoccabile di fronte al “disastramento” che vivono tanti esseri umani. Inoltre, dimostrando di non essere solo un candido e ingenuo profeta, egli fa precisi riferimenti alle teorie keynesiane proponendole come strada percorribile ed efficace contro la disoccupazione.

Le posizioni di La Pira non furono seguite a livello nazionale; dopo questo intervento egli cominciò a diventare un “segno di contraddizione”, costantemente oggetto di  atteggiamenti contrastanti nell’opinione pubblica: da una parte  osteggiato ed irriso, dall’altra stimato ed esaltato.

Egli pensò di provare a realizzare il suo progetto politico a livello locale, nella sua città d’adozione che tanto amava, Firenze, di cui fu sindaco dal 1951 al 1957 e successivamente dal 1960 al 1965. Nel discorso conclusivo della sua campagna per le elezioni amministrative del 1951, in cui si presentava come capolista per la Democrazia Cristiana, dopo aver collocato la sua politica in un’ottica antitetica al comunismo, egli traccia una chiara sintesi di ciò che intende fare, costruire cioè una “civiltà” fondata sulle risposte ai bisogni essenziali degli essere umani, bisogni di natura materiale e spirituale, con un efficaci interventi sul territorio ma con un’apertura di orizzonte al mondo intero ed alle esigenze della pace. In particolare afferma: “La civiltà è tale, quando avendo risolto i problemi elementari, urgenti della vita, tutti hanno in fondo una idea luminosa, cui danno un riflesso di luce, una bellezza suprema, un incanto sovrannaturale: questa è la civiltà vera.”

La Pira, che nella fase iniziale del suo mandato di sindaco godeva di maggioranza particolarmente ampia, si trovava ad affrontare i drammatici problemi della ricostruzione dopo le distruzioni della guerra: mancanza di alloggi, sfratti, disoccupazione, molte situazioni di indigenza. Egli cercò immediatamente finanziamenti per la costruzione di tremila alloggi di edilizia popolare: li ottenne e seguì l’effettiva realizzazione del progetto. Nel novembre del 1954, consegnando i primi mille appartamenti del nuovo quartiere dell’Isolotto, egli presenta la sua concezione dell’ampliamento della città che deve essere “in forma di stella” a  partire dal centro storico, il “cuore” della città. Inoltre i nuovi quartieri sono costruiti con una logica centrata sulla dimensione sociale dell’uomo, che rifiuta i periferici quartieri-dormitorio e vuole invece costruire, insieme alle case, strutture e spazi per la vita comunitaria e culturale della gente.

Certamente La Pira è stato un amministratore che ha ottenuto risultati positivi e constatabili in tempi rapidi, utilizzando anche le sue antiche competenze di ragioniere, ma la sua fama è dovuta soprattutto ad alcune coraggiose battaglie, la prima delle quali è legata al problema degli sfratti. Nel periodo necessario per la costruzione di nuovi alloggi, per gli sfrattati (oltre tremila nel periodo 1950-1954) e per molti che affluivano in città dalla campagna circostante, occorreva trovare una sistemazione provvisoria. Il Sindaco si rivolse inizialmente al Pretore ed al Prefetto con lettere in cui chiedeva la sospensione o una procedura graduale degli sfratti. Non avendo raggiunto il suo scopo cercò allora di ottenere in affitto alcuni immobili: ad esempio inutilmente fu chiesta in affitto prima all’amministratore, poi al principe Tommaso Corsini  stesso, la villa di Castello per un anno.

La Pira decise allora di utilizzare l’inconsueto strumento giuridico della requisizione in base ad una legge del 1865 che permetteva la possibilità di requisizioni in caso di grave necessità pubblica, interpretata nel quadro della Costituzione del 1948. L’Ufficio Alloggi di Firenze operò circa un centinaio di requisizioni. Sono facilmente immaginabili le polemiche che ne seguirono sulla stampa nazionale, gli strascichi giudiziari e una crisi della Giunta comunale. La Pira non cambiò idea sulla necessità di quell’intervento temporaneo (e con regolare indennizzo per i proprietari espropriati), intervento unico in Italia. Egli afferma in una seduta del Consiglio comunale del 24 settembre 1954:”Eppure è stata proprio questa una delle cause che più vi hanno irritato Signori Consiglieri liberali: la requisizione delle case! Che grave colpa! Ma che dovevo fare? Ho dato una mano di speranza – del resto sulla base di una legge! – a tante famiglie povere e disperate!”.

Un’altra celebre battaglia che La Pira ingaggiò contro la disoccupazione in Firenze riguardava la fabbrica Pignone, precedentemente fonderia che produceva materiale bellico, poi acquisita nel 1946 dalla SNIA-Viscosa che aveva avviato un processo di riconversione della produzione. Nel gennaio del 1953 la direzione fiorentina decise la sospensione a tempo indeterminato di 300 operai, il licenziamento di 50 operai anziani e di 70 impiegati. La Pira si attivò immediatamente per cercare di risolvere la situazione interpellando Fanfani e vari esponenti del Governo. Nonostante ciò il 21 ottobre del 1953 partirono le prime 1750 lettere di licenziamento. Il governo, sollecitato da La Pira reagì con un provvedimento inconsueto, dando disposizione al questore di Milano perché ritirasse temporaneamente il passaporto al Presidente della SNIA-Viscosa Franco Marinotti. Questi si recò a Roma e ottenne la revoca del provvedimento mentre infuriava la polemica nel paese. Il 16 novembre venne deciso a Roma lo scioglimento della società ed il giorno seguente iniziò a Firenze l’occupazione della fabbrica a cui il liquidatore della società Giulio Fabbri reagì  sporgendo denuncia nei confronti delle maestranze occupanti.

In questo contesto di forte tensione si colloca il gesto inaspettato, e del tutto fuori dagli schemi politici consueti, di La Pira che si recò nella fabbrica occupata il 26 novembre, per partecipare qui ad una Messa celebrata da Don Bruno Borghi. Questa presenza esprimeva con grande efficacia simbolica la solidarietà del Sindaco e dell’intera città. Ne seguì una intensa campagna di stampa che attaccava il Sindaco di Firenze e di fatto rendeva il caso della Pignone di portata nazionale. In realtà La Pira pensava a un gesto molto più radicale: era già pronto un testo che ordinava la requisizione della fabbrica e che si sarebbe dovuto tradurre in una ordinanza motivata da esigenze di ordine pubblico e dagli articoli 2, 3, 41 della Costituzione italiana. Fanfani riuscì a bloccare l’uscita dell’ordinanza promettendo una diversa soluzione della vertenza. In questo periodo e nei mesi successivi La Pira fu anche impegnato in un fitto carteggio con i Vescovi italiani (da cui arriveranno un centinaio di lettere di appoggio), con  la Santa Sede e con Franco Marinotti presidente della SNIA-Viscosa. Con piglio diretto, accorato e profetico La Pira tra l’altro scrive a Marinotti: “Come può lei abbandonare al loro destino 2000 lavoratori? (che poi per riflessi indiretti sono tremila). Il capitano non abbandona mai la nave…… L’Evangelo è una cosa seria: perché tutto oscilla attorno a tre punti: 1) La vita terrestre è un impegno per gli altri e non per noi: in vista di questo impegno ci sono conferiti gratuitamente i talenti spirituali, economici e fisici che possediamo. 2) La vita terrestre ha un solo traguardo: la morte. 3) Ma la morte non è la fine: è l’inizio della vita vera: e tutto l’edificio della vita futura trova le sue basi nella vita terrestre: queste basi sono l’accettazione o la ripulsa dei nostri fratelli, compagni di “avventura e di cammino” lungo il pellegrinaggio terreno. Ciò che avremo fatto ad essi  lo avremo fatto a Dio stesso.”

Le risposte di Marinotti furono negative ed irridenti. Nei giornali si attaccava La Pira come “un pesce rosso nell’acquasantiera”, “un comunistello di sagrestia”: si sottolineava la sua “dabbenaggine”, si ribadiva l’esigenza di legalità e la legittimità della proprietà privata. L’incomprensione forse più dura da sopportare fu quella che venne da Don Sturzo che lo definì “lo statalista della povera gente”. La Pira si difese dai diversi tipi di attacco in maniera appassionata e sempre ben argomentata. In particolare rivolgendosi a Sturzo scrive: “Non vorrei che con la scusa di non volere lo Stato totalitario non si voglia in realtà lo Stato che interviene per sanare le strutturali iniquità del sistema finanziario, economico e sociale, del cosiddetto “Stato liberista”(che sta “a vedere” con olimpica contemplazione la dolorosa zuffa che la privazione del pane quotidiano procura tra deboli e potenti)”.

Il deciso impegno di La Pira spinse il Ministro Ferrari Aggradi e De Gasperi stesso a ricercare soluzioni percorribili: determinante fu l’intervento di Enrico Mattei presidente dell’ENI (ente nazionale idrocarburi). Si formò una nuova società la “Nuova Pignone” a partecipazione mista con il 60% dell’ ENI (attraverso la società AGIP) e il 40% del gruppo SNIA-Viscosa. L’accordo definitivo fu raggiunto tra il 13 e il 15 gennaio 1954 presso il Ministero del lavoro.

Nel 1962, ricordando con tono commosso la tragica morte dell’amico Mattei, La Pira traccia il bilancio assai positivo dell’attività della Nuova Pignone in quegli anni ed afferma che a lui si deve la salvezza de La Pignone e che Mattei è da considerare cittadino onorario di Firenze.

Il “buon governo” di La Pira non emerge soltanto dalla onestissima gestione del denaro pubblico e dalle coraggiose battaglie a favore dei più deboli, ma anche dalla sollecitudine che egli fin dall’inizio dimostra nei confronti dei ragazzi che frequentano le scuole. Negli anni ’50 in cui gran parte della popolazione viveva situazioni di miseria o comunque di ristrettezze economiche La Pira si preoccupa di realizzare un intervento diffuso che giunga anche a quelli che non hanno diritto all’assistenza pubblica ma che comunque hanno bisogno di aiuto. Nel ’52 venne realizzata la distribuzione quotidiana del latte (con cioccolata e zucchero) a tutti i bambini delle scuole, utilizzando tra gli altri aiuti economici di carattere internazionale.

Più importante ancora è il dialogo diretto che il Sindaco costruisce con i bambini testimoniato soprattutto dalle lettere di Natale che egli scrive loro, accompagnate dal dono di in piccolo panettone e da un libretto curato da Piero Bargellini su aspetti rilevanti della storia e dell’arte della città di Firenze. Il Sindaco considera i ragazzi come veri interlocutori e parla loro in maniera semplice ed efficace dei problemi della città, sensibilizzandoli alla ricerca del bene comune e alla solidarietà verso i più deboli e i più poveri.
 La visione armoniosa della persona che non ha solo bisogno di lavoro, cibo, casa, assistenza medica, ma anche di bellezza, cultura e spiritualità, fa sì che egli si spenda per realizzare iniziative di ampio respiro in cui la città di Firenze si apre al mondo, ai suoi problemi, ai nuovi popoli che si affacciano come protagonisti alla ribalta della storia. I Colloqui mediterraneipdf e il Convegno dei sindaci delle città capitali del mondo ne sono il segno più evidente. La ricerca e la costruzione della pace nel mondo, già intensa nel periodo dell’attività di Sindaco, diverrà poi l’impegno fondamentale di tutta la vita di La Pira che, in piena guerra del Vietnam nel 1965 arriverà persino a portare (a titolo personale) proposte di pace a Hanoi.

 

Indicazioni bibliografiche:
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LA PIRA G., Le città sono vive, La Scuola, Brescia, 1957, 2° ed.1978.
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PAGLIAI L., Per il bene  comune: poteri pubblici ed economia nel pensiero di Giorgio La Pira, Edizioni Polistampa, Firenze, 2009.
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BORSE DI STUDIO FASS ADJ

 

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