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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfDal punto di vista biologico, l’invecchiamento degli esseri umani è il processo che - dopo i venticinque anni di età - porta le persone a sperimentare un decadimento dello stato fisico complessivo, più o meno sensibile. Dopo i cinquant’anni tale processo generalmente si accentua, così che si diventa persone anziane.

D’altro canto, sul piano psicologico, la persona anziana può presentare problematiche che prima erano latenti e poi si acuiscono, oppure disagi peculiari di questo periodo della vita, ascrivibili a vari motivi: problematiche mediche, decadimento cognitivo, riduzione della vita di relazione, ecc.

Ancora, la vecchiaia è lo stato che la persona raggiunge superando, più o meno in buona salute, il 65° anno di età. In particolare è la vecchiaia ad essere accompagnata da processi psicosociali di isolamento relazionale, legati a vari fattori: il disgregarsi del gruppo sociale nel quale si era investita la propria affettività, l'allontanamento dei figli che ormai hanno una vita propria, la perdita di congiunti ed amici, la riduzione dell'autonomia in termini di possibilità di movimento, l’aumento più o meno notevole del tempo libero senza una rete di riferimento sociale.

Naturalmente, non poteva mancare, a proposito di tale importante fenomeno, il punto di vista degli aspetti economici; ma - come ho più volte personalmente sottolineato - sugli aspetti economici di qualsiasi fenomeno non vi possono non essere più visioni e posizioni. Non che questo non sia il caso anche per gli altri aspetti, ma non sta a me intrattenermi su ciò.

Tuttavia, in economia – trattandosi di una scienza storico-sociale – l’essere in presenza, per qualsiasi problema o aspetto, di più visioni e posizioni, sia pratiche, sia teoriche, è un fatto sempre più riconosciuto e che comunque non può essere tralasciato. Ciò, come ho più volte sottolineato, anche per i lettori della Rivista, pena la circolarità e l’autoreferenzialità del discorso o ragionamento fatto.

Allora, in generale, occorre almeno fare riferimento a due gruppi di posizioni e teorie: da un lato, quelle “chiuse” e, dall’altro, quelle “aperte”.

Nel primo caso, perseguendosi un approccio, come si dice, “da pensiero unico”, si ritiene che ogni proposizione o postulato sia dimostrabile “dall’interno” del discorso o ragionamento economico; mentre, nel secondo caso, si argomenta che almeno un postulato o una proposizione sia ascrivibile “all’esterno” del discorso o ragionamento di tipo economico.

Allora, nella misura in cui, per motivi valoriali, si faccia riferimento ad una certa posizione etica, si può ben ritenere di riscontrare tale “esterno”, rispetto al discorso o ragionamento economico, in ambito etico. Anzi, una volta che si perseguano valori etici oggettivi o universali – quali quelli attinenti alla dottrina sociale cattolica – è chiaro che, alla base dell’“esterno” del discorso o ragionamento di tipo economico saranno i principi da essa rivenienti quelli che “guideranno” le proposizioni o i postulati su ogni aspetto dell’economia.

Un altro modo di presentare tale punto di vista è di dire che, così, si respinge qualsiasi posizione o ragionamento di ordine economicistico, così che, in qualsiasi caso concreto, si faranno sempre derivare conclusioni o posizioni specifiche da quell’impostazione di carattere generale.
Infine, come pure ho più volte argomentato, deriva da quell’impostazione che, mentre teorie e posizioni “chiuse”, quindi inaccettabili, sono afferenti a quelle cosiddette neoclassciche e monetariste, invece teorie e posizioni “aperte”, quindi accettabili, sono afferenti a quelle cosiddette classiche e keynesiane.

 Sul tema in oggetto, si comprende che, in ambito neoclassico-monetarista, la visione di tipo economicistico ha portato a fare un discorso incentrato sul riguardare le prestazioni lavorative di qualsiasi persona in termini di “capitale umano”.

Segue che, via via che una persona “invecchia” e, quindi, sia la durata che la stessa intensità delle rispettive prestazioni lavorative deperiscono, il “capitale umano” via via diminuirà in conseguenza e, quindi, il “compenso”, considerato quale salario per i lavoratori dipendenti, così come quale reddito per i lavoratori autonomi, non potrà non diminuire. Pertanto, l’invecchiamento porterà “automaticamente” le persone a vedere la propria retribuzione via via decrescere, ed anche gli accantonamenti a fini pensionistici, via via, diminuiranno in conseguenza.

Come si comprende, un’impostazione di questo tipo non può essere condivisa. Certo, l’economia sarà sempre la disciplina che studia i vincoli derivanti alle azioni umane dalla limitatezza delle risorse complessivamente disponibili. Tuttavia, da un lato, le stesse risorse disponibili potranno crescere ma mano che gli investimenti, quindi i risparmi, via via, cresceranno. Ma tutto ciò comporterà scelte coraggiose
sull’eliminazione degli sprechi, così come su una più equa distribuzione sia dei redditi che dei capitali, sia all’interno dei diversi paesi sia al livello mondiale. Dall’altro lato, occorre riflettere sul fatto che, sul piano intergenerazionale, vecchi e bambini non possono mai essere considerati “numeri” e meno che mai “capitali”, giacché tutti, indistintamente, sono sempre persone.

L’invecchiamento, come fatto naturale della vita umana, non può essere “ridotto” a fenomeno trattabile in termini economicistici, economici sì, ma economicistici no.

Segue che, invecchiando, nessuno potrà mai - per usare un termine di moda -  essere “rottamato”, così come non potranno mai essere “rottamati” disabili di alcun genere.pdf

Inoltre, invecchiando, mentre certi bisogni diminuiscono, altri aumenteranno;  così che, alla diminuzione dei consumi per i primi, dovrà accompagnarsi l’aumento dei consumi quanti ai secondi.

Ragionare in termini di “capitale umano” disconoscerà la validità dei ragionanti e discordi di questo tipo.

Ma è chiaro che tutti noi che ci riconosciamo in un certo tipo di etica, così come in un certo tipo di società, non possiamo poi - in una sorta di “dissociazione intellettuale” - pensare di “conciliare” una fede ed una morale oggettivamente appaganti con un’economia che, come ho cercato di argomentare, smentisca in concreto ciò che, in linea di principi, è qualcosa in cui crediamo.

 

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