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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfIntroduzione
Parlare oggi sulla laicità dello Stato non è facile sia a causa della confusione e ambiguità nella comprensione dello stesso termine laicità e sia della sua applicazione pratica. Il concetto di laicità «ha assunto molteplici accezioni, talvolta viene impiegato per dire cose opposte o quasi, talvolta viene usato come un’arma per silenziare la Chiesa ed i cattolici e per relegare la religione nel privato1.

Anche la parola laico nel linguaggio dei nostri tempi ha dei significati diversi. Non di rado, nell’ambito generalmente civile, questo termine viene attribuito ad una persona non credente, «in opposizione a confessionale, una realtà (Stato, partito, scuola, cultura…) che si vuole libera da ogni forma di dogmatismo ideologico e/o religioso»2. In più, laico indica una persona «che pur essendo istituzionalmente estranea, sia chiamata a far parte, come esperto e per lo più provvisoriamente di un organo (amministrativo, giudicante, deliberante)»3. Questo termine è spesso usato, specialmente nella lingua polacca o tedesca, per indicare una persona alla quale manca la competenza in qualche particolare disciplina4. Per esempio, un polacco usa frequentemente questa parola dicendo «sono un vero “laico” nelle cose che riguardano il computer; sono un “laico” in medicina, ecc.». Infine, laico, non di rado, è sinonimo di razionalità. Laico, persona non credente, significa uno che usa la ragione, uno che è razionale. Invece una persona credente non userebbe la ragione, cioè sarebbe irrazionale e dogmatica5.

Invece, questo termine ha un altro significato nel linguaggio ecclesiale. Laico nell’Enciclopedia Italiana Treccani corrisponde a «chi non appartiene allo stato clericale; sono quindi laici nella Chiesa cattolica, i fedeli che non sono né chierici né religiosi, ossia tutte le persone battezzate che non hanno alcun grado nella gerarchia ecclesiastica6». Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica7, citando la Costituzione del Concilio Ecumenico Vaticano II Lumen gentium, afferma che «col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e nella loro misura resi partecipi della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano8».

Il significato del termine laico è cambiato durante la storia fino ai nostri tempi. Laico proviene dalla lingua greca, dove laikós derivante dal sostantivo laós indicava un popolo e non solo nel senso generico, ma anche come una massa della popolazione in opposizione ai suoi capi9. Nell’ambito cristiano e particolarmente nella Lettera di Clemente del III sec. la parola laico «designa una persona distinta da altre appartenenti alla medesima comunità, ma che hanno un ruolo superiore10». In questo senso, «laico è un membro di un organismo nel quale occupa l’infimo posto11». Passando da Clemente di Roma a Clemente Alessandrino e poi a Origene troviamo lo stesso significato. Il termine laikós «è usato in opposizione a sacerdote e diacono12». Secondo Canobbio, «con questa accezione resterà permanente-mente nel vocabolario cristiano, anche nella lingua latina13». Laicus significa «non solo chi appartiene al popolo, ma anche chi non appartiene al clero, pur avendo responsabilità di capo nell’ambito civile14». Tuttavia, nel corso della storia questo termine assume significati nuovi e, particolarmente, da quando la società civile vuole distaccarsi dalla tutela ecclesiastica e sottolineare la sua autonomia. Da questo momento storico «laico non significa semplicemente ʻprofanoʼ, ma assume la connotazione polemica di ʻautonomoʼ, ʻanticonfessionaleʼ15». Non è facile indicare con esattezza il tempo nel quale si stabilisce questo significato del termine, ma si può parlare, con minore precisione, dell’epoca moderna. Laico in questo contesto polemico coincide «con non-credente, non tanto nella connotazione atea, quanto nel senso di responsabile in prima persona della condizione umana, senza rimandi a un mondo altro da questo16».

Da tale significato del termine laico provengono due altri termini, cioè laicità e laicismo. L’ambito nel quale nasce il primo termine è soprattutto la Francia. Infatti, nella seconda metà del sec. XIX nasce il tentativo «dello Stato francese, e della sua ideologia che lo sosteneva, di emanciparsi dall’ingerenza della Chiesa negli affari della vita civile17». In questo contesto il termine laicità è usato in opposizione al clericalismo che significa proprio quest’ingerenza della Chiesa nelle realtà della comunità politica dalla quale bisogna liberarsi. Alla laicità è molto legato un altro termine, cioè laicismo. Il significato di questo termine può essere descritto in modo seguente:

«La distinzione successiva è ascritta dagli storici alla riduzione della sfera del ʻclericalismoʼ. L’opposizione non sarà più tra ʻclericalismoʼ e ʻlaicitàʼ, ma tra ʻclericalismo e ʻlaicismoʼ. Quest’ultimo termine designa abitualmente una ideologia o un atteggiamento teso a contrastare l’incidenza della religione nella vita civile. Indica cioè una visione globale della realtà, che non riconosce alcun significato alla dimensione religiosa, quando si tratti di organizzazione della società. Così almeno è interpretato nel contesto cattolico, e in particolare nei documenti del Magistero della chiesa18».
Accanto a laicismo appare il termine laicizzazione che significa una totale liberazione delle istituzioni dello Stato dall’influenza della Chiesa, ma anche lo distaccarsi di un ecclesiastico dalla sua condizione clericale19. Il Magistero della Chiesa Cattolica non accetta il laicismo, ma difende e promuove la laicità intesa come distinzione tra religione e politica e come autonomia e indipendenza tra Chiesa e Stato. Tuttavia, persino il termine laicismo non sempre ha la connotazione così negativa come si è detto prima. Il Dizionario di politica della UTET ne può essere d’esempio, dove il laicismo assomiglia tanto a quella realtà che descriviamo oggi con la parola laicità. Sotto la voce Laicismo si può leggere che «i diversi significati del laicismo concernono insieme la storia delle idee e la storia delle istituzioni e si possono riassumere nelle due espressioni di “cultura laica” e di "Stato laico20”». Ma, lo Stato laico, a sua volta, è inteso come «il contrario dello Stato confessionale, cioè dello Stato che assume come propria una determinata religione e ne privilegia i fedeli rispetto ai non credenti21». Infine, si precisa, che «lo Stato laico propriamente inteso non professa pertanto una ideologia “laicista” qualora si intenda per tale una ideologia irreligiosa o antireligiosa22».

Lo Stato laico secondo l’Enciclopedia Italiana Treccani è invece «quello che riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza concedere particolari privilegi o riconoscimento ad alcuna di esse, e che riafferma la propria autonomia rispetto al potere ecclesiastico23». In questa linea, la laicità dello Stato democratico che oggi è anche molto spesso multietnico e multireligioso «si misura, perciò, col non negare (= laicità negativa) e col non limitare (= laicità neutrale) il ruolo pubblico di tutte le religioni, di tutte le Chiese e di tutti i credenti24». In più, lo Stato laico, «non può imporre (= Stato confessionista) o impedire (= Stato laicista) né lo spazio privato né lo spazio pubblico di una religione perché questa non deriva dallo Stato ma da Dio e dalle sue istituzioni storiche (= le Chiese), non violente e non contrarie alla pace e alla custodia del creato25». Concretamente, come abbiamo visto analizzando i significati diversi del termine laicità, anche lo Stato laico può essere inteso ai nostri tempi in modi molto diversi. La laicità dello Stato molto spesso significa la quasi totale neutralità etica o una posizione di scetticismo o relativismo soprattutto etico26.

La laicità dello Stato nella Gaudium et spes (= GS)
La costituzione pastorale intitolata «La Chiesa nel mondo contemporaneo», Gaudium et spes e approvata il 7 dicembre 1965, è il documento più importante pubblicato dal Concilio Vaticano II in materia di insegnamento sociale e politico della Chiesa. Dopo un breve proemio e una esposizione introduttiva sulla condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo, la GS si divide in due parti fondamentali, alquanto differenti tra di loro, ed ogni parte si divide in diversi capitoli. La costituzione si chiude con la conclusione, in cui si parla dei specifici compiti dei singoli e delle Chiese particolari, del dialogo fra tutti gli uomini e di un mondo da costruire e da condurre al suo fine.
La prima parte è dedicata al tema «La Chiesa e la vocazione dell’uomo» e presenta una sintesi dell’antropologia cristiana. La seconda parte intitolata «Alcuni problemi più urgenti» prende in considerazione vari aspetti della vita e della società del nostro tempo. Le questioni strettamente sociali le troviamo in entrambe le parti della Costituzione.
Mi sembra molto importante, prima di addentrarci nella comprensione globale di che cosa costituisce la laicità dello Stato secondo l’insegnamento della GS, sottolineare il fatto che la Costituzione si apre ad un’ampia attenzione al mondo degli uomini in tutti i suoi aspetti laici e profani per poter comunicare con l’uomo contemporaneo. Basta leggere i numeri 40-44 del documento conciliare per poter notare «una prospettiva di esaltazione del mondo, ma se si collegano queste affermazioni con altre, si ottiene un quadro teologico più completo in cui autonomia del mondo è comunque inserita nella dipendenza dal Signore della storia27». In particolare il terzo capitolo della prima parte del documento, intitolato «L’attività umana nell’universo» contiene al n. 36 un interessante discorso dedicato al problema della legittima autonomia delle realtà terrene. Questo numero mi sembra di avere una grande importanza per intendere poi in che cosa consiste il “sano” rapporto tra la Chiesa e lo Stato. Tuttavia riconoscendo e affermando l’autonomia delle realtà terrene la GS espone come quest’autonomia deve essere intesa:
«Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore. Infatti, è della stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte. Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio […]28».
Invece è da respingere l’autonomia delle realtà terrene compresa in un altro modo:
«Se invece con l’espressione “autonomia delle realtà temporali” si intende che le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può adoperarle così da non riferirle al Creatore, allora nessuno che creda in Dio non avverte quanto false siano tale opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce […]29».
Inoltre la GS al n. 42 dichiara la volontà di dare l’aiuto alla società umana riconoscendo «tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno: soprattutto l’evoluzione verso l’unità, il processo di una sana socializzazione e consociazione civile ed economica30». La Costituzione afferma ancora che la Chiesa «non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale» e grazie a questa sua universalità «può costruire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni31…». Tutto ciò permette alla Chiesa di dare aiuto e «promuovere tutte queste istituzioni» e «niente le sta più a cuore che di servire al bene di tutti, e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona, della famiglia, e riconosca le esigenze del bene comune32». Il ruolo dei laici, secondo la Costituzione, consiste nell’impegnarsi, anche se non esclusivamente, alle attività temporali33. Sono proprio loro, che avendo «responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurare l’animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in mezzo a tutti, e cioè pure in mezzo alla società umana34».
Il quarto capitolo della seconda parte è dedicato direttamente alla vita della comunità politica. Il Concilio nota le profonde trasformazioni nelle strutture e nelle istituzioni dei popoli, come conseguenza della evoluzione culturale, economica e sociale. È possibile osservare una coscienza più viva della dignità umana, la crescente sensibilità dell’ordine politico-giuridico nei riguardi dei diritti e dei doveri della persona e la più grande libertà civile. Questo è il motivo per cui gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi, «costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica35».
La GS ricorda a tutti i cittadini il dovere di partecipare attivamente alla vita della comunità politica e considera quest’azione pienamente conforme alla natura umana36. Specialmente i cristiani devono essere coscienti della loro vocazione nella comunità politica: «Essi devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune; così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità37». Inoltre i cristiani «devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini, che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista38».
Forniti di tutto il discorso fatto prima, ora possiamo intendere meglio la Costituzione nel ben noto n. 76 che richiede una giusta visione dei rapporti tra la Chiesa e la comunità politica in una società pluralistica:
«È di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori39».
La GS anche se non si serve del termine laicità, con i termini indipendenza e autonomia esprime il concetto di questa realtà:
«La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana40».
La Chiesa e la comunità politica sono indipendenti e autonome nel proprio campo, ma l’una e l’altra, devono collaborare a vicenda a vantaggio di tutti, anche se a titolo diverso:
«La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti, in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo41».
Inoltre la Costituzione aggiunge che la Chiesa che «non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile42», ha sempre diritto di predicare con libertà la fede e di insegnare la sua dottrina sociale. Essa perfino ha diritto di «dare il suo giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime43».
Con questo modo di intendere il rapporto con lo Stato, la Chiesa da un lato, respinge le idee moderne della totale separazione, dell'anticlericalismo aggressivo, delle discriminazioni delle religioni, del laicismo, e dall’altro esclude anche le tentazioni di uno Stato confessionale. La Chiesa propone, invece, una pacifica e costruttiva collaborazione per il bene di tutti i cittadini della comunità politica.
Con la GS inizia il discorso ufficiale della Chiesa sulla teoria cattolica della laicità, anche se, come già abbiamo detto, la Costituzione non usa il termine. Da questo momento il corretto concetto di laicità diventa un argomento frequente dei documenti sociali della Chiesa. Alcuni autori cercano perfino di «separare la dottrina sociale preconciliare da quella postconciliare. La prima non avrebbe accettato la laicità moderna, mentre la seconda sì. Punto di svolta di questo cambiamento sarebbe stata la Costituzione pastorale del Vaticano II Gaudium et spes44».

La laicità dello stato nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (= CDSC)
Il CDSC è stato pubblicato nell'ottobre 2004 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Questo documento è la raccolta dei più importanti argomenti di carattere sociale che presentano, in maniera sintetica, l’insegnamento sociale della Chiesa. Il testo del Compendio è diviso in tre parti centrali più l’introduzione e la conclusione. Ogni parte è composta da più capitoli, che sono in tutto dodici.

L’argomento riguardante direttamente i rapporti tra la Chiesa e la comunità politica è trattato in soli quattro numeri (424-427) nel sesto capitolo della seconda parte intitolato "Lo Stato e le comunità religiose". Nei numeri precedenti (421-423) il CDSC parla della libertà religiosa come diritto umano fondamentale e fa riferimento all’insegnamento di alcuni documenti ufficiali della Chiesa come la Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II stesso, il Catechismo della Chiesa cattolica, l’Esortazione apostolica Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II e il suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999. Il documento ricorda che «il diritto alla libertà religiosa deve essere riconosciuto nell’ordinamento giuridico e sancito come diritto civile» e la legittima delimitazione del suo esercizio nella comunità politica deve essere determinata «per ogni situazione sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune45». Inoltre il Compendio afferma che «a motivo dei suoi legami storici e culturali con una Nazione, una comunità religiosa può ricevere uno speciale riconoscimento da parte dello Stato46». Tuttavia, questo speciale privilegio non deve in nessun modo «generare una discriminazione d’ordine civile o sociale per altri gruppi religiosi47».

Dopo il chiarimento riguardante la liberà religiosa nella comunità politica, il CDSC si occupa direttamente dei giusti rapporti tra la Chiesa e lo Stato. Per presentare l’insegnamento della Chiesa in questa materia si riferisce diverse volte alla Costituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et spes, al Catechismo della Chiesa Cattolica e all’Enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II. È inutile cercare nel testo analizzato il termine moderno laicità. Il Compendio preferisce usare altri termini per esprimere il suo insegnamento sul rapporto tra la Chiesa e la comunità politica, cioè autonomia e indipendenza. La Chiesa e lo Stato sono le realtà diverse di natura e perseguono finalità diverse:

«La Chiesa e la comunità politica, pur esprimendosi ambedue con strutture organizzative visibili, sono di natura diversa sia per la loro configurazione sia per le finalità che perseguonox48».

Facendo, in seguito, il riferimento all’insegnamento del Concilio Vaticano II, il Compendio afferma l’indipendenza e l’autonomia della Chiesa dalla comunità politica, perché la prima cerca soprattutto il bene spirituale dei fedeli e la seconda s’impegna direttamente all’attuazione del bene comune temporale dei cittadini:

«Il Concilio Vaticano II ha riaffermato solennemente: “Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra49”. La Chiesa si organizza con forme atte a soddisfare le esigenze spirituali dei suoi fedeli, mentre le diverse comunità politiche generano rapporti e istituzioni al servizio di tutto ciò che rientra nel bene comune temporale. L’autonomia e l’indipendenza delle due realtà si mostrano chiaramente soprattutto nell’ordine dei fini50».

La Chiesa rispetta la giusta autonomia dell’ordine democratico, perché riconosce di non avere nessun titolo «per esprimere preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale e non ha neppure il compito di entrare nel merito dei programmi politici, se non per le loro implicazioni religiose e morali51». Da un altro lato, la comunità politica deve rispettare e garantire alla Chiesa la libertà religiosa e lo spazio per poter adempiere adeguatamente i suoi impegni52.

La legittima indipendenza e autonomia non deve essere intesa come una totale separazione che esclude la collaborazione tra la Chiesa e la comunità politica. Al contrario, il servizio all’uomo chiede una sana, pacifica e armonica collaborazione tra ambedue le istituzioni:

«La Chiesa e la comunità politica, infatti, si esprimono in forme organizzative che non sono fini a se stesse, ma al servizio dell’uomo, per consentirgli il pieno esercizio dei suoi diritti, inerenti alla sua idoneità di cittadino e di cristiano, e un corretto adempimento dei corrispondenti doveri. La Chiesa e la comunità politica possono svolgere il loro servizio “a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe allacciano tra loro una sana collaborazione, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo53”»54.

In più, la Chiesa rivendica il diritto al riconoscimento giuridico della propria identità e chiede: «libertà di espressione, di insegnamento, di evangelizzazione; libertà di manifestare il culto in pubblico; libertà di organizzarsi e avere propri regolamenti interni; libertà di scelta, di educazione, di nomina e di trasferimento dei propri ministri; libertà di costruire edifici religiosi; libertà di acquistare e di possedere beni adeguati alla propria attività; libertà di associazione per fini non solo religiosi, ma anche educativi, culturali, sanitari e caritativi55».
Il CDSC propone come giusta via per prevenire o risolvere gli eventuali conflitti tra la comunità politica e la Chiesa il ricorso all’«esperienza giuridica della Chiesa e dello Stato», la quale «ha variamente delineato forme stabili di rapporti e strumenti idonei a garantire relazioni armoniche56». Il documento aggiunge ancora, che «tale esperienza è un punto di riferimento essenziale per tutti i casi in cui lo Stato ha la pretesa di invadere il campo d’azione della Chiesa, ostacolandone la libera attività fino a perseguitarla apertamente57». Ma, questo ricorso all’esperienza giuridica deve essere adoperato anche nel caso contrario, cioè, quando le «organizzazioni ecclesiali non agiscono correttamente nei confronti dello Stato58».


Conclusionepdf
La nozione di laicità, specialmente in ambito civile e pubblico, assume oggi significati assai diversi e spesso anche contraddittori. L’ambiguità di questo termine ci costringe di precisare, ogni volta quando deve essere usato, di quale tipo o di quale modello di laicità si tratti. Il concetto odierno di Stato laico, cioè secolarizzato o aconfessionale «è frutto di un processo storico complesso, caratterizzato da contrapposizioni e da conflitti ideologici59». Ma, non di rado, la laicità odierna assume la forma di un vero e proprio laicismo che tenta di escludere dalla vita pubblica della società politica ogni influenza religiosa, perfino qualsiasi simbolo religioso e, considera le religioni, un fatto assolutamente privato. La Chiesa rifiuta la laicità intesa come laicismo e propone nel suo insegnamento sociale il modello di una “sana” laicità, la quale riconosce la religione, spesso organizzata in strutture visibili, come presenza comunitaria60. Il concetto della laicità “sana”, proposto dalla GS e dal CDSC, si basa sulla collaborazione pacifica e armonica tra la Chiesa e lo Stato. Ambedue i documenti non si servono del termine laicità, ma adoperano i termini diversi equivalenti, cioè indipendenza e autonomia. La Chiesa e lo Stato sono indipendenti e autonomi l’una dall’altro nel proprio campo, ma destinati, nello stesso tempo, ad una fruttuosa collaborazione per il vantaggio di tutti i cittadini della comunità umana.


NOTE

1http://www.civitas.it

2G. CANOBBIO, Laici o Cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia 1992, p. 13. Sulla laicità vedi anche M. TOSO, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS, Roma 2006, pp. 178-243.

3Ibidem.

4Ibidem.

5Cfr. http://www.civitas.ithttp://www.civitas.it/2014/12/21/la-laicita-dello-stato/

6http://www.treccani.it

7Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, n. 897.

8CONC. ECUM. VAT. II, Lumen gentium, n. 27.

9G. CANOBBIO, op. cit., p. 14.

10Ibidem, p. 15.

11Ibidem.

12Ibidem.

13Ibidem.

14Ibidem, p. 16.

15Ibidem, p. 20.

16Ibidem.

17Ibidem.

18Ibidem, p. 21. Vedi anche A. MARCHESE, Il senso della laicità, LAS, Roma 206, pp. 27-29.

19Cfr. Ibidem.

20V. ZANONE, Laicismo, in N. BOBBIO, N. MATTEUCCI, G. PASQUINO, Dizionario di politica, UTET, Torino 1983, p. 573.

21Ibidem, p. 574.

22Ibidem.

23http://www.treccani.it 

24T. TURI, Nuova laicità e laico responsabile, Edizioni Viverein, Monopoli 2012, p. 27.

25Ibidem.

26Cfr. http://www.civitas.it

27http://www.vanthuanobservatory.org 

28GS, n. 36.

29Ibidem.

30Ibidem, n. 42.

31Ibidem.

32Ibidem.

33Ibidem, n. 43.

34Ibidem.

35Ibidem.

36Ibidem, n. 75.

37Ibidem.

38Ibidem.

39Ibidem, n. 76.

40Ibidem.

41Ibidem.

42Ibidem.

43Ibidem.

44http://www.vanthuanobservatory.org 

45CDSC, n. 422.

46Ibidem, n. 423.

47Ibidem.

48Ibidem, n. 424.

49GS, n. 76.

50CDSC, n. 424.

51Ibidem.

52Cfr. Ibidem.

53GS, n. 76.

54CDSC, n. 425.

55Ibidem, 426.

56Ibidem, n. 427.

57Ibidem.

58Ibidem.

59M. TOSO, op.cit., p. 182.

60Cfr. http://www.ansa.it 

 

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