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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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1. Il problema della laicità, ossia della definizione dei limiti della dialettica tra sfera temporale e sfera religiosa, appartiene al novero delle questioni più dibattute nell’ambito della tradizione occidentale. Il principio di laicità ha la sua genesi nel lungo processo storico, politico e culturale, che ha attraversato la modernità, e che ha il suo ineludibile radicamento nella Weltanschauung propria del cristianesimo.
Com’è stato osservato, la pagina evangelica del tributo, per cui occorre dare a Cesare quel che è di Cesare ma a Dio quel che è di Dio, ha veicolato l’ingresso nella nostra tradizione del dualismo tra “cielo e terra”, secolare e religioso, che costituisce la condizione di pensabilità del tema della laicità in tutta la sua estensione1. Il problema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, tra legge religiosa e legge civile, rappresenta infatti la conseguenza logica del dualismo, cristallizzato nel precetto evangelico, tra istanza politica e istanza sacrale, appartenente a quel prezioso patrimonio assiologico e culturale di cui la modernità è debitrice nei confronti del cristianesimo2.
In questa cornice teorica, si inserisce la lucida analisi che conduce all’affermazione secondo cui lo Stato di per sé non è “naturaliter laico3”, ovvero non annovera tra i suoi principi costitutivi quello della laicità. Lo Stato, infatti, ha una struttura monista, mentre il principio di laicità presuppone quel dualismo che invece è proprio della Chiesa, e che si esprime nella tensione costante di arginare il fenomeno della sacralizzazione del politico e della politicizzazione del religioso.
Pertanto, è solo nella prospettiva del pensiero cristiano che il principio di laicità, pur nelle diverse modalità di cristallizzazione
nel corso della storia del rapporto tra trono e altare, acquisisce la sua pienezza di senso.
Nonostante, come premesso, il tema della dialettica tra sfera politica e sfera sacrale appartenga al novero delle questioni tradizionalmente più dibattute e “resistenti” della nostra cultura, oggi può dirsi tutt’altro che esaurito e torna ad interrogarci costantemente, con una forza endogena che travalica i confini tradizionali della mera definizione dei rapporti istituzionali tra Stato e Chiesa, e che investe lo spazio pubblico, attualmente segnato dallo scontro costante, tipico della società postmoderna globalizzata e pluralista, tra diverse concezioni etiche, religiose ed etniche. Le possibilità di intervento sulla vita umana, rese possibili dai nuovi approdi dello sviluppo tecnico-scientifico, il carattere multireligioso e multiculturale della società odierna, si iscrivono in un orizzonte culturale privo di “convergenze etiche4” e di paradigmi assiologici condivisi, e fanno acquisire al problema della laicità e della delineazione di una convivenza possibile entro uno “spazio pubblico comune”, un volto inedito.
Il profondo relativismo culturale, la sterilità assiologica, lo scientismo, il secolarismo esasperato, hanno determinato una profonda spaccatura tra società religiosa e società civile in ordine a temi fondamentali, come la famiglia, la sessualità, le possibilità di intervento sulla vita umana, sia nella fase iniziale, che in quella finale5, ed il paradigma della laicità sembra essere entrato in una crisi profonda, che ne ha alterato gli elementi costitutivi, piegandolo ad un utilizzo meramente strumentale.
La conflittualità normativa e istituzionale tra quelle istanze sempre più assolute e radicali, connotate da forte ideologicità, che rivendicano pieno riconoscimento e cittadi-nanza in nome della signoria del volontarismo individuale, cui si accompagna l’anelito ad “un paradigma debole della giuridicità”, orientato in modo asetticamente procedurale alla legittimazione di tali istanze, ha veicolato un’accezione del principio di laicità prettamente “indifferentista”. L’ordinamento statale dovrebbe, pertanto, affrancarsi da qualsiasi riferimento all’etica, nel nome di un’assoluta neutralità assiologica, ponendo le basi per uno spazio coesistenziale completamente asettico rispetto a tutte quelle “opzioni di valore” che caratterizzano l’esistenza umana, il cui unico spazio di residua legittimità è rappresentato dalla coscienza individuale. In altri termini, lo spazio pubblico dovrebbe configurarsi come un luogo completamente neutrale rispetto a qualsiasi concezione del bene o istanza valoriale, perché assolutamente soggettiva, insindacabile e non oggettivabile su di un terreno comune.
La categoria della laicità postula, pertanto, un’inesauribile problematicità, dovuta non solo alla molteplicità di forme assunte nel divenire storico-istituzionale, ma anche alla difficoltà di definizione del suo statuto semantico. Il termine, infatti, è stato ed è utilizzato con accezioni profondamente diverse, al punto da indurre taluno a sostenerne, alla stregua di un’analisi lucida e provocatoria al tempo stesso, il difficile impiego nell’ambito del dibattito giuridico, il quale per la sua intima vocazione richiede l’impiego di categorie dogmatiche assolutamente nitide ed univoche dal punto di vista concettuale e semantico6.
Nell’ambito dell’esperienza giuridica si sono imposte interpretazioni della laicità molto eterogenee, alcune delle quali declinate in senso marcatamente ideologico, comportando la degradazione del concetto di laicità verso forme di vero e proprio laicismo7. È questo il caso della cd. laicїte de combat, o laicità alla francese, che in chiave antireligiosa e anticlericale, anela all’estirpazione del fenomeno religioso dalla sfera pubblica. Questo tipo di laicità, o meglio di laicismo, da cui non è immune peraltro anche parte della cultura nostrana, è segnata da un’indebita assolutizzazione della dimensione immanentistica e dalla conseguente frammentazione dell’identità individuale, privata del riconoscimento nella sfera pubblica di quella dimensione dell’esperienza rappresentata dalle convinzioni etico-religiose.
Tuttavia, l’inquinamento ideologico del principio di laicità, le contraddizioni del “secolarismo”, proteso ad eliminare il riferimento al sacro nell’ambito della sfera pubblica, hanno dimostrato un’intrinseca fragilità ed inadeguatezza rispetto alle sfide poste dalla società contemporanea, segnata peraltro da un forte ritorno nella dimensione pubblica del fenomeno religioso, perché – com’è stato acutamente affermato - “la tendenza a cancellare il sacro, a eliminarlo interamente, prepara il ritorno surrettizio del sacro, in forma non più trascendente bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza8”, come testimoniato dalla proliferazione nel nostro tempo degli atti di terrorismo a sfondo religioso.
La crisi antropologica del nostro tempo, le sfide poste dalla nostra società, il ruolo di primo piano assunto dal fondamentalismo nell’ambito della discussione pubblica, ci impongono di “ripensare9” o meglio di ridefinire lo statuto di senso del paradigma della laicità.
2. Nell’ordinamento giuridico italiano l’elaborazione del paradigma della laicità dello Stato è di matrice giurisprudenziale.
Il principio di laicità, infatti, non è cristallizzato dal punto di vista definitorio in una specifica disposizione della nostra legge fondamentale, ma costituisce il frutto di una ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte Costituzionale.
La Consulta, nella nota sentenza n. 203 del 1989, ha affermato che i valori espressi dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 concorrono a delineare e strutturare “il principio supremo della laicità dello Stato10”.
Come afferma la Consulta, la laicità, in base al combinato disposto degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. Emerge, dunque, dall’elaborazione pretoria una nozione di laicità “aperta” e “positiva”, molto lontana da quella “tradizionale francese”, nella misura in cui non postula il confinamento della dimensione religiosa nell’intimo sacrario della coscienza individuale, ma al contrario il pieno dispiegamento, la promozione e il rispetto della libertà religiosa.
Quest’apertura nei confronti del fenomeno religioso presuppone ineludibil-mente una strutturazione della dialettica tra lo Stato e le Confessioni religiose in termini assolutamente collaborativi e sinergici.
Il profilo del principio di laicità, sotteso al nostro testo costituzionale, si configura in termini come molto diversi rispetto al modello francese, essendo caratterizzato dal riconosci-mento dell’importanza della dimensione trascendente nell’ambito dello spazio pubblico.
Alle Istituzioni, infatti, non è richiesto un atteggiamento meramente tollerante nei confronti della religione, ma bensì un’attività di piena valorizzazione di quell’elemento costitutivo e fondante dell’identità del cittadino, rappresentato dal suo credo religioso.
Tra le condizioni dello Stato laico, nell’ottica di una pieno riconoscimento della rilevanza dei valori religiosi anche nell’ambito del dibattito pubblico, si annovera innanzitutto la tutela sostanziale della libertà religiosa, sia in termini “negativi” come immunità da coercizioni esterne in materia di coscienza, sia in termini positivi ossia come garanzia delle condizioni sostanziali che ne consentano l’esercizio; in quanto la religione non deve essere intesa per i legislatori “come un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico della nazione11”.
In un contesto pluralista, come quello odierno, se si vogliono evitare profonde lacerazioni nel tessuto sociale, si rivela ineludibile la promozione dell’incontro con la varietà di opinioni ed istanze etico-religiose in una prospettiva dialogica. Com’è stato osservato, dal cittadino “non può essere preteso un atteggiamento schizofrenico, che lo porti a spogliarsi del proprio credo e soprattutto delle proprie convinzioni nell’attività politica e sociale12”, pertanto la laicità delle istituzioni si deve configurare come “laicità di confronto”, aperta e protesa all’incontro dialogico con l’altro13.
La Corte Costituzionale ha contribuito in un’altra pronuncia, la n. 334 del 1996 sul tema della del giuramento, a delineare in modo ancora più netto il contenuto del supremo principio di laicità, individuandone il nucleo essenziale nella distinzione tra ordine temporale e ordine sacrale.
Il principio dell’autonomia e della distinzione tra gli ordini ha il suo referente normativo nel primo comma dell’articolo 7 della Costituzione, ai sensi del quale “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.
Che il nucleo essenziale della laicità fosse rappresentato dalla distinzione tra lo Stato e le Chiese, reciprocamente indipendenti nei fini e nelle competenze, era già stato affermato da Locke nell’Epistola sulla Tolleranza, secondo il quale “nessuna pace e sicurezza, e tanto meno comune amicizia si potrà stabilire tra gli uomini fino a quando prevarrà l’opinione per cui l’autorità è fondata sulla grazia e la religione deve essere diffusa con la forza delle armi14”.
La distinzione tra l’ordine politico e quello religioso dovrebbe essere correttamente intesa come incompetenza dello Stato in materia religiosa e reciproca autonomia dei due ordini, ma non come netta separazione. Il rispetto dell’indipendenza e della diversità delle competenze, cifra di una “sana laicità”, postula, infatti, una collaborazione attiva tra lo Stato e la Chiesa, posto che entrambe, come affermato nel par. 76 della costituzione pastorale Gaudium et spes, sono a servizio della vocazione personale e sociale dell’uomo.
Una laicità “sana” non esita a riconoscere il grande contributo dato al bene umano dalla religione, pur nella consapevolezza dell’opportunità che la gestione di ciò che afferisce alla sfera temporale avvenga senza contaminazioni e pregiudizi confessionali.
Al contrario, la separazione radicale tra sfera temporale e sfera spirituale, che si concretizza in un atteggiamento “esclusivo” e indifferente nei confronti della religione, rappresenta la cifra di “un cattivo uso” e di “un’erosione semantica” della laicità.
Sul piano giuridico questo approccio, “negativo” ed “escludente”, si traduce nella pretesa di un diritto neutrale, assolutamente scevro da qualsiasi riferimento ad un ordine ideale, meta-positivo e assiologicamente superiore, il cui fondamento è riduttivamente rappresentato dall’accordo, fondato su un “minimo etico comune”, tra gli attori sociali.
L’esito di questa ermeneutica della laicità conduce, com’è stato osservato, ad un “ipertrofico politeismo etico”, in cui tutte le opzioni valoriali, confinate nella privatezza individuale, sono considerate equivalenti, insindacabili e in nessun modo oggettivabili; e ad un’indebita assolutizzazione della dimensione immanentistica, rendendo ineludibilmente fragile la costruzione di uno spazio pubblico e l’effettivo esercizio delle libertà fondamentali.
Il principio di laicità, quando è inteso nella sua autentica verità, non presuppone la rassegnazione a un indebito relativismo e la rinuncia al riferimento ad una dimensione metafisica, ovvero ad un ordine etico-giuridico ideale e sovraordinato.
L’autonomia, proclamata anche a livello costituzionale, va intesa con riferimento alla sfera ecclesiastica, non all’ordine morale.
In tal senso, è opportuno costatare come la nostra Costituzione offra una serie di indici sistematici al riguardo. L’articolo 2, ad esempio, utilizza il verbo “riconoscere”, riferendosi ai diritti inviolabili dell’individuo, ed ancora l’articolo 29 qualifica la famiglia come società naturale, rinviando ad un ordine normativo meta-positivo ed assiologicamente cogente.
Nel contesto sociale odierno, caratterizzato dalla compresenza di contrapposte tavole di valori , il diritto, coerentemente con lo spirito laico, non può configurarsi come uno strumento di registrazione asettica e neutrale delle dinamiche emergenti nella prassi, a meno che non voglia abdicare a quello che è il suo compito fondamentale: garantire le condizioni obiettive della coesistenza umana , a partire dal riconoscimento della pre-condizione ontologica ed originaria della pari dignità di tutti gli esseri umani. La dignità, infatti, “è la modalità assiologica in cui noi percepiamo il rilievo costitutivo che possiede tra gli uomini la simmetria (che nessuna forma di differenziazione sociale potrà mai erodere)15”. In questo senso la laicità del diritto risiede nel costante riconoscimento all’uomo, o meglio a tutti gli uomini, in virtù della nativa dignità e a prescindere dalle determinazioni esistenziali concrete, delle sue spettanze fondamentali.
Infine, il paradigma della laicità, desumibile dal nostro testo costituzionale, a partire dal principio di distinzione tra ordine temporale e ordine sacrale, si estende anche al principio pattizio (art. 7, secondo comma, e art. 8, comma terzo), per cui la regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose è affidata allo strumento negoziale.
Come si evince da disposto di cui al terzo comma dell’articolo 8, la previsione dello strumento giuridico delle Intese, attuabili mediante la legge, per la regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica, rappresenta un ulteriore indice della laicità del nostro ordinamento. Come nel caso del Concordato, infatti, lo Stato qualora voglia dettare norme speciali nei confronti del fenomeno religioso dovrà necessariamente passare attraverso l’accordo con le rappresentanze religiose16, in virtù della sua incompetenza in materia religiosa. La ratio della negoziazione legislativa va, inoltre, ravvisata nella necessità di garantire il principio di eguaglianza in senso sostanziale, che caratterizza il nostro ordinamento, e ammette la possibilità di una disciplina giuridica differenziata per salvaguardare le differenti identità.pdf
Alla luce di tali premesse, si può concludere sostenendo che il modello italiano di laicità dimostra delle potenzialità intrinseche, anche con riferimento al contesto pluralista e multiculturale proprio della società europea17. Il paradigma di laicità, quale emerge dalla nostra Costituzione, nella misura in cui garantisce la piena autonomia dello Stato in relazione all’ordine mondano della coesistenza, senza attribuirgli però alcun ruolo “salvifico”, ma comunque radicandolo in un quadro forte di principi fondamentali, riesce a coniugare il rispetto della differenza con una vocazione universale, ossia l’apertura ad un ordine morale, che veicola il rispetto dei diritti umani fondamentali, a partire dalla libertà religiosa, per garantire il bene di tutti gli uomini.

NOTE

1 G. Dalla Torre, La città sul  monte. Contributo ad una teoria canonistica delle relazioni fra Chiesa e Comunità politica,  III ed. AVE. Roma 2007.
2 G. Dalla Torre, Stato e Chiesa, in F. D’Agostino (a cura di), Valori Giuridici Fondamentali, Aracne, Roma 2010, p. 161.
3 G. Dalla Torre, Sulla laicità dello Stato, in M. Corti (a cura di), Frontiere della libertà religiosa. Riflessi dell’Anno Costantiniano, Giuffrè Editore, Milano 2014, p. 71.
4 L’espressione è di Italo Mancini, il quale scrive al riguardo: “Nessuno, singolo o gruppo ce la fa da solo, nella grande complessità del mondo” in I. Mancini, Tre follie, Città Aperta edizioni, Troina (En), 2005, p. 49.
5 Vedi F. Botturi, Secolarizzazione, libertà, laicità, in M. Corti (a cura di), Frontiere della libertà religiosa. Riflessi dell’Anno Costantiniano, cit., p. 195; C. Cardia, Laicità, diritti umani, cultura relativista, in Stato e Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.staoechiese.it), novembre 2009, pp. 7 e ss.; F. Macioce, La laicità come principio giuridico, in A.C. Amato Mangiameli – M.R. Di Simone (a cura di), Diritto e religione, Aracne, Roma 2010 , p. 426.
6 Così G. Dalla Torre, Laicità dello Stato: una nozione giuridicamente inutile?, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1991, 2, pp. 274-200.
7 V. Possenti (a cura di), Laici e laicisti, Fondazione Liberal, Firenze 2002.
8 R. Girard, La violenza e il sacro, trad.it. Adelphi,  Milano 1980, pp.417-418.
9 Sul punto D’Agostino afferma: “Come quasi tutti i principi costitutivi della modernità, anche quello di laicità è - a suo modo – perennemente in crisi, se non altro perché alla ricerca della definizione adeguata del suo statuto.” in F. D’agostino, Il diritto come problema teologico, Giappichelli, Torino 1997, p. 120. Così anche G. Dalla Torre (a cura di), Ripensare la laicità . Il problema della laicità nella cultura giuridica contemporanea, Giappichelli, Torino 1993; F. Macioce, La laicità come principio giuridico, cit., p. 423.
10 In Giur. Cost., 1989, 898-899
11 Benedetto XVI, La carità politica. Discorsi agli uomini e alle donne impegnanti nelle istituzioni civili, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012, p. 33.
12 Così F. Zanuso, “La costrizione alla libertà”. La religione civile di Rosseau e i paradossi del laicismo, in A.C. Amato Mangiameli – F. D’Agostino (a cura di), Diritto e Religione tra storia e politica, Aracne, Roma 2012, p. 76 e ss. Sulla “laicità di confronto” vedi anche S. Mangiameli, L’identità dell’Europa: laicità e libertà religiosa, in A.C. Amato Mangiameli – M.R. Di Simone (a cura di), Diritto e religione tra passato e futuro, cit., p. 348
13 Così P. Ricoeur, La critica e la convinzione. A colloquio con François Azouvi e Marc de Launay,  Jaca Book, Milano 1997, p. 185
14 J. Locke, Lettera sulla tolleranza, Demetra editore, p.26.
15 F. D’Agostino, Diritto e laicità. Una prospettiva fenomenologico-strutturale, in G. Dalla Torre (a cura di), Lessico della laicità, Edizioni Studium, Roma 2007, p.116.
16 G. Dalla Torre, Stato e Chiesa, in F. D’Agostino (a cura di), Valori Giuridici Fondamentali, cit., p. 169
17 G. Dalla Torre, Europa. Quale laicità?, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, p. 96.

 

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