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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

  

pdf I dati rilasciati a settembre dalle Nazioni Unite1, informano che il numero degli emigrati internazionali (da qui Ei) ha raggiunto i 232 milioni. In termini assoluti, la cifra si confronta con i 175 milioni di Ei del 2000 e i 154 del 1990. In rapporto alla popolazione umana gli Ei costituivano il 2,9% nel 1990, mentre sono il 3,2% nel 2013.

       Le migrazioni stanno subendo un significativo rallentamento. Sono cresciute in media dell’1,2% annuo negli anni ’90 e del 2,3% nel decennio successivo, ma soltanto dell’1,6% annuo tra il 2010 e il 2013. Tra le ipotesi che spiegano la decelerazione, tre sembrano convincere:
a) Si vanno esaurendo gli effetti della fine del bipolarismo e dell’avvio della globalizzazione economica esplosi nel primo decennio del millennio. I picchi migratori furono un’onda anomala, cui ha fatto seguito la stabilizzazione.
b) Crescita economica e diffusione di benessere in paesi di migrazione, indotti da investimenti diretti esteri e rimesse, tendono a recidere le radici socio-economiche che hanno generato alti volumi di migrazioni.
c) Nel corrente decennio, recessione e stagnazione in economie avanzate, stanno disincentivando nuovi arrivi, e spingendo emigrati al rientro.


   Asimmetria strutturale tra aree
   Guardando alle localizzazioni degli Ei si evidenzia la crescente preferenza delle migrazioni a caratterizzarsi come movimento da sud a Nord. 136 milioni di Ei vivono nel Nord sviluppato e 96 nel sud in sviluppo: dal 1990 al 2013 nel Nord ci sono stati annualmente 2,3

milioni di arrivi di immigrati internazionali (da qui Ii), nel sud 1 milione. Nel periodo gli immigrati nel sud sono restati pari all’1,6% della popolazione, mentre nel Nord sono arrivati a rappresentare il 10,8%. Considerando che negli autoctoni del Nord la percezione del numero degli immigrati è tripla2  del dato effettivo, si ha evidenza che nella costruzione del governo delle migrazioni occorre guardare innanzitutto al Nord del mondo.

       L’EurAsia ospita i 2/3 degli Ei: 72 milioni l’Europa, 71 l’Asia. Il Nord America è terzo con 53 milioni, seguito da Africa con 19 milioni, America latina e Caraibi con 9, Oceania 8. La crescita in Asia e la stagnazione/recessione in Europa porteranno presto l’Asia al sorpasso. Il Nord America ha ricevuto dal 1990 al 2013 il più alto numero assoluto di Ii, 25 milioni, ovvero 1,1 milione l’anno. L’Europa 23 milioni ovvero 1 milione l’anno, e l’Asia 21 milioni ovvero meno di 1 milione l’anno. Il Nord America è anche la regione che, nel periodo, ha registrato la crescita più rapida dello stock di immigrati, 2,8% l’anno, contro l’1,7% dell’Europa.

       Se si confronta solo il periodo tra il 2000 e il 2013, i valori mutano significativamente. E’ l’Asia a recitare la parte rilevante, con 20 milioni di nuovi Ii, 1,6 milione l’anno. Segue l’Europa con 16 milioni, 1,2 milione l’anno. Il Nord America scende al terzo posto con 13 milioni, 1 milione l’anno. Ne deriva la necessità di spostare sull’EurAsia le priorità del governo delle migrazioni, rispetto alla tradizionale attenzione che si dava al continente americano.
   Gli Ei nati nel sud si distribuiscono equamente tra Nord (81,9 milioni) e sud (82,3). Asiatici e latinoamericani formano le più rilevanti diaspore globali. 19 milioni di Ei asiatici vivono in Europa, 16 in Nord America, 3 in Oceania. 26 milioni di latinoamericani e caraibici vivono in Nord America. Il più grande gruppo di Ei proviene dal sud-est asiatico: 36 milioni, 13,5 dei quali nei paesi produttori di petrolio dell’Asia occidentale.

      Lo spostamento percentuale di Ii sul totale della popolazione, appare maggiormente significativo in Europa e Nord America. Rispetto al 1990, in Nord America si passa dal 10 al 15%, in Europa dal 7 al 10%. Al tempo stesso America latina e Caraibi portano gli Ii all’1,4% della popolazione, l’Asia all’1,6%, l’Africa all’1,7%. Nel periodo Africa, America latina e Caraibi diminuiscono addirittura la presenza percentuale di Ii sulla popolazione. Nel 2013, gli Ii rappresentano almeno 1/5 della popolazione in 51 paesi: così negli isolotti-stato dei Caraibi, in Melanesia, Micronesia e Polinesia, e in paesi dell’Asia occidentale. All’opposto nei paesi di Africa, Asia orientale, sud America e Asia meridionale, gli Ii sono meno del 5% della popolazione totale.
   
Aspetti qualitativi

       La metà degli Ei è in dieci paesi: Usa, Russia, Germania, Arabia Saudita, Unione Emirati Arabi, Regno Unito, Francia, Canada, Australia, Spagna. In valori assoluti, nel periodo 1990-2013, al primo posto per accoglienza si trovano gli Stati Uniti con 23 milioni di Ii; seguono gli Emirati Arabi con 7, la Spagna con 6. La Russia è l’unico paese in elenco che regredisca nei numeri assoluti, la Germania quello che più rallenta i flussi in ingresso. I dieci paesi comprimono, dal 2010, il tasso di crescita degli ingressi di Ii. Anche se gli Ii crescono in 167 paesi, dal 1990 al 2013, e diminuiscono in soli 63, il calo nei paesi di maggiore accoglienza ne influenza natura e tipo di governo.

       Altro elemento strutturale, il genere. Il 48% degli Ei sono donne, con diversa distribuzione tra Nord e sud: nel Nord è femminile il 52% degli Ii, nel sud il 43%, discrepanza che dovrebbe ulteriormente crescere, per l’offerta agli uomini di attività petrolifere in Asia occidentale. E’ femminile il 52% dell’immigrazione in Europa e America latina e caraibica, e il 51% di quella in Nord America. In Asia è femminile il 42% degli Ii, in Africa il 54%. Le donne costituiscono più della metà degli Ei in 101 paesi. Nel governo delle migrazioni, la questione femminile si pone in particolare nelle aree di immigrazione matura, anche se riguarda la maggioranza dei paesi al mondo.

       In Asia e Africa le migrazioni sono in genere di durata inferiore a quelle registrate nei paesi di più antica tradizione migratoria. Il particolare è rilevante per le materie legate al welfare, ai livelli salariali, alla tutela dei diritti dei lavoratori.

      In quanto alle migrazioni per ragioni politiche, etiche o religiose, va evidenziato che il numero di rifugiati risulta relativamente basso, stimato a 15,7 milioni, il 7% circa degli Ei. Tra il 1990 e il 2010 il numero globale dei rifugiati è sceso da 18,6 milioni a circa 15,4. 2/3 dei rifugiati sono africani, 10,3 milioni; 2,9 milioni asiatici. I 9/10 dei rifugiati arrivano dai paesi del sud, a conferma del legame, tuttora esistente, tra mancanza di democrazia, conflitti, arretratezza socio-economica. I paesi che, nel 2013, ospitano più rifugiati sono Giordania (2,6 milioni), Palestina (2,2), Pakistan (1,7), Siria (1,2), Iran (0,9), Germania (0,5). Sull’accoglienza dei rifugiati, il governo delle migrazioni è in forte ritardo.

Indicazioni per il governo

       Numeri alla mano, il fenomeno migratorio appare, per il Nord, contenuto e governabile. Il che non vuole dire che governato lo sia davvero. Nel caso dell’Unione Europea risulta con evidenza l’assenza del governo delle migrazioni. Le crisi che nel post-bipolare hanno flagellato l’area euro-mediterranea, hanno regolarmente prodotto afflussi clandestini, morti alle frontiere, illegalità e costi umani, che il buon governo delle immigrazioni avrebbe evitato. Peraltro si è trattato, per ciascuna crisi, di numeri relativamente piccoli che solo le inadempienze dei paesi membri e delle istituzioni comuni hanno reso critici. Ad esempio da gennaio a settembre 2013 sono arrivati dal mare in Italia, secondo l’ONU, non più di 30.000 persone; e Frontex3  ha valutato a 70.000 il numero di immigrati illegali in Unione Europea nel 20124. Sono quantità insignificanti rispetto agli immigrati legali in posizione regolare o non. Risulta anche stupefacente che l’Unione Europea ritenga i suoi membri attualmente più deboli, Spagna, Italia e Grecia, capaci di risolvere le drammatiche situazioni immigratorie di prima linea che conosciamo.  

       A prescindere da ragionamenti umanitari o solidali, i 29 Paesi dell’Unione Europea, con pochissime eccezioni in deficit demografico rispetto ai bisogni, non possono fare a meno dell’immigrazione. Tanto più che le rimesse degli emigrati verso i paesi d’origine costituiscono un elemento strutturale nella costruzione di partenariati commerciali e di investimento tra Unione Europea e economie del sud, indispensabili per la crescita europea. Nel 20135 le rimesse globali  sono ammontate a 549 miliardi di dollari, con un incremento di quasi il 6% sul 2012: 414 miliardi sono entrati nei paesi in sviluppo. Si attende, tra il 2014 e il 2015, una crescita annua delle rimesse tra l’8,2 e il 9,4%, con ulteriori opportunità per le esportazioni europee.

       Non sarà possibile governare la questione migratoria nei 29 Paesi dell’Unione senza investire risorse adeguate, in particolare nel rapporto con i paesi meridionali del Mediterraneo. Basti un dato per capire quanto ne siamo lontani: nel 2012 l’Unione Europea ha speso in politiche di aiuto allo sviluppo lo 0,43% del suo reddito interno lordo, contro lo 0,7% promesso.


 NOTES:

1 U.N., Dept. of Economic and Social Affairs, Population Division, Population Facts No. 2013/2, settembre 2013. Salvo diversa avvertenza, i dati dell’articolo sono ripresi da questo studio.
2 “As in previous years, Americans and Europeans largely overestimated the percent share of immigrants in their countries. British respondents, on average, estimated a foreign-born population of 31.8%, while just 11.3% of the population is actually foreign born. Americans, on average, estimated a foreign-born population of 37.8%, and the actual foreign-born population is only 12.5% of the population”. Transatlantic Trends: Immigration 2011, pag. 6. Il rapporto, pubblicato nel dicembre 2011, è a cura di:  German Marshall Fund of the United States, Compagnia di San Paolo,  Barrow Cadbury Trust, Fundación BBVA.
3 E’ l’agenzia Ue che, dal 2004, coordina le azioni di sicurezza delle frontiere esterne.pdf
4 Dati da Manuel Domergue, L’Echec de la Forteresse Europe, in Alternatives Economiques, dicembre 2013, pag. 64.
5 I dati che seguono, da Bbva Bancomer Research, Situación Migración, Dicembre 2013, pag. 3 

 

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