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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

L’immigrazione verso i paesi industrializzati, e tale è anche l’Italia, sembra irreversibilmente destinata a crescere e va assumendo proporzioni talmente preoccupanti da poter essere definita il sesto continente in movimento.

Il fenomeno è tale da far ipotizzare l’esigenza nel prossimo futuro di ridisegnare la mappa dei continenti etnografici, in considerazione sia della tendenza all’aumento dei livelli di povertà dei paesi in via di sviluppo, sia della differenza abissale dei tassi di fecondità e di natalità tra paesi industrializzati e non, sia del dato incontestabile che i flussi migratori non interessano soltanto i più poveri tra gli abitanti dei paesi caratterizzati da queste necessità. Tra l’altro, nell’ultimo periodo, la situazione mondiale è stata notevolmente complicata dall’aggravarsi delle crisi politico-ististuzionali e soprattutto economico-sociali nell’ex-Est europeo, crisi che hanno contribuito in grande misura a rimpinguare le file dell’immigrazione in molti paesi europei tra i quali l’Italia.

La situazione italiana è abbastanza specifica poiché, avendo come punto di riferimento il contesto europeo, il paese ha rivestito sempre un ruolo sui generis. Mentre gli altri stati dell’Europa Occidentale dal 1945 in poi hanno manifestato la tendenza a divenire paesi importatori di mano d’opera straniera stante le urgenze della ricostruzione post-bellica, la penisola è stata paese di emigrazione fino agli inizi degli anni settanta, periodo nel quale viene finalmente raggiunto il saldo immigrativo attivo. Mentre le crisi petrolifere e le politiche congiunturali collegate hanno comportato nel resto dell’Europa Occidentale una chiusura delle frontiere nei confronti degli immigrati, in Italia è iniziato invece un cammino contrario e il flusso in entrata tende da allora ad aumentare.

In effetti, l’Italia non sembra accorgersi del problema fino alla metà degli anni ottanta, limitandosi fino a quel momento ad intervenire solo a livello amministrativo, rincorrendo perciò fenomeni che si stavano consolidando e attuando, anche in seguito, semplici provvedimenti di sanatoria. La politica del non-intervento ha contribuito non poco alla gravità che successivamente la situazione ha manifestato, se è vero che, citando Mao, "tre metri di ghiaccio non sono il risultato di una brinata". E i ritardi hanno riguardato non soltanto l’inerzia della classe politica ma l’incapacità stessa da parte dello Stato di fornirsi di un quadro conoscitivo adeguato che permettesse di affrontare la questione nei suoi, reali, confini.

Fino a tempi piuttosto recenti, infatti, è stata palese la grande difficoltà di reperire dati che consentissero una conoscenza ravvicinata e approfondita del fenomeno: da in lato, difficoltà materiali per i ricercatori di entrare in possesso dei dati, dall’altra, mancanza di una effettiva rilevazione sistematica dell’intero fenomeno.

Pertanto, meno si conosceva l’entità esatta degli ingressi più la situazione sociale sembrava consolidarsi oltre misura affermandosi con i caratteri dell’estrema gravità e dell’urgenza e facendo esplodere violente contraddizioni all’interno della stessa società italiana.

Spesso con il volto della violenza e dell’intolleranza sono così esplose le contraddizioni di una società che, più che razzista, si è scoperta giorno per giorno incompiuta nella sua crescita economica e nella sua crescita sociale. I problemi che ciò ha comportato sono sotto gli occhi di tutti, particolarmente gravi sul versante delle implicazioni socio-culturali. La dolorosa storia degli italiani, partiti verso le Americhe da un paese per molti aspetti ancora parafeudale, deve farci invece riflettere e guidarci per non permettere che la nostra memoria culturale si accorci. L’inconscio non deve restare inascoltato perché i molti problemi quotidiani tendono a farci respingere e rimuovere una parentesi lunga e sofferta della nostra storia. L’Italia ha dato tanto in termini di emigrazione oltre e inter-confine che non può non farsi carico appieno dei problemi sollevati dall’immigrazione nel suo territorio.

Fortunatamente il non-istituzionale (le organizzazioni di volontariato, il privato sociale, le associazioni religiose e culturali) ha per diversi anni supplito al vuoto istituzionale impedendo conflittualità troppo estese e tappando diverse falle, finché gli anni novanta hanno sancito l’inizio di una politica governativa più attiva, che ha cercato di recuperare i ritardi accumulati e di fronteggiare le nuove "emergenze", poiché, nel frattempo le modalità stesse di presentarsi dell'immigrazione sono cambiate, trasformandosi spesso totalmente nelle forme e nei modi con i quali si era manifestata all'inizio.

Indubbiamente il quadro conoscitivo più approfondito consente ora di meglio governare le trasformazioni in atto. Non è infatti di poco conto verificare che, pur restando massiccia l'incidenza (86,3% del totale) dei cittadini stranieri non appartenenti all'Unione Europea, nel corso dell'ultimo decennio si è progressivamente modificata dall’interno la consistenza immigratoria relativamente alla provenienza per continenti, con una presenza di europei dell’Est che ha raggiunto e poi superato quella pur consistente relativa ai nordafricani. Altra caratteristica importante sulla quale riflettere è che a partire dal 1993 sono diminuiti i flussi regolari e le richieste d'asilo mentre sono in aumento i ricongiungimenti famigliari e gli spostamenti temporanei.

È evidente che di fronte a questi dati le risposte devono essere pertinenti e conseguenti. Soltanto a partire dalla scuola sarà veramente possibile costruire la società italiana del futuro, essendone la multirazzialità una dimensione imprescindibile. È parimenti evidente che i processi di integrazione culturale dovranno avere nella scuola uno dei loro ambienti più fecondi e stimolanti. Come è avvenuto per altri settori della società, anche nella scuola molti degli interventi e delle innovazioni relative alle problematiche connesse all’integrazione sono partiti autonomamente e volontaristicamente dalle realtà locali o dalle iniziative dei singoli insegnanti; ma, ormai possiamo affermarlo, le questioni direttamente e indirettamente collegate alla formazione hanno acquistato consistenza anche per l’apertura e lo sviluppo di settori della ricerca scientifica che esplorano i percorsi possibili di una pedagogia dell’integrazione e dell’interculturalità.

I cittadini immigrati non sono né soggetti privi di istruzione né dei deprivati culturali; è forse più corretto individuarli come degli svantaggiati socio-culturali in possesso di una loro cultura dalla quale è necessario partire per completare una integrazione equilibrata nella società italiana e per consentire il pieno apporto allo sviluppo della stessa, con la sottolineatura dell’arricchimento culturale che reciprocamente deriverà per tutti noi.

Complessivamente siamo convinti che l’evoluzione normativa degli ultimi anni, culminata con l’approvazione della legge 40 e l’emanazione del Regolamento d’attuazione del Testo unico di tutte le disposizioni concernenti tale ambito di interesse, entrambi del 1998, rappresenti un consistente passo in avanti, non tanto nella risoluzione definitiva delle gravi problematiche che l’immigrazione ha posto all’attenzione, quanto nel considerare e nell’affrontare il fenomeno dell’immigrazione non più come emergenza bensì come un fenomeno sociale stabile e consolidato meritevole di provvedimenti approfonditi e meditati.

Pur nella constatazione che si tratti di un cammino ancora agli inizi e che dovrà sempre più intensamente coinvolgere i livelli amministrativi locali e l’intera società civile, non si possono non sottolineare l’indubbio passo avanti del quadro legislativo nel dare coerenza e continuità ad un percorso che, partendo dall’accoglienza, passi per la formazione per approdare alla ricchezza culturale della multiculturalità.

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